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12^ puntata - ''Il danno da non circolazione degli autoveicoli - L’applicazione dell’art. 2054 c.c. nello spazio''
L’applicazione dell’art. 2054 c.c. nello spazio
L’analisi della menzionata giurisprudenza non può peraltro prescindere dalla specificazione della nozione di area equiparata a quella pubblica atteso che la giurisprudenza pone l’elemento spaziale fra i presupposti per l’applicazione delle regole di responsabilità da circolazione di veicoli. Occorre peraltro rilevare che manca nell’art. 2054 c.c. un’indicazione relativa al luogo in cui si svolge la circolazione stradale. Il dato testuale dell’art. 2054 c.c. parrebbe tuttavia riprodurre il contenuto dell’art. 120 del previgente codice della strada (R.D. 1740/1933). Tale norma, sebbene destinata a disciplinare la circolazione sulle aree pubbliche aveva comunque riguardo al carattere pubblico della circolazione medesima e non già al luogo di svolgimento della stessa. A tal proposito fin dai primi anni trenta la Cassazione ha precisato come non vi fosse motivo di distinguere fra aree pubbliche e private in considerazione del pubblico interesse alla tutela dell’incolumità dei pedoni e dei veicoli. Inoltre la definizione del concetto di luogo in cui si svolge la circolazione è contenuta nella disciplina relativa all’assicurazione obbligatoria per la cd. r.c. auto. Ed infatti l’art. 1, comma primo, della L.990/1969 prevede che «i veicoli a motore senza guida di rotaie, compresi i filoveicoli e i rimorchi, non possono essere posti in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate se non sono coperti, secondo le disposizioni della presente legge, dall’assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi prevista dall’art. 2054 c.c.». Il regolamento di esecuzione della medesima legge (d.p.r. 24 novembre 1970 n. 973) precisa altresì, all’art. 2, comma secondo, «sono equiparate alle strade di uso pubblico tutte le aree, di proprietà pubblica o privata, aperte alla circolazione del pubblico». La Suprema Corte ha poi sottolineato che detta definizione sarebbe pienamente applicabile sia alla disciplina della responsabilità civile sia a quella del vigente codice della strada. In particolare la Cassazione ha stabilito – in riferimento alla sanzione prevista dall’art. 193 C. d. S. (circolazione di veicolo privo della copertura assicurativa) – che le ivi menzionate aree equiparate a quelle pubbliche coinciderebbero con quelle indicate nell’art. 2 del regolamento di esecuzione della L. 990/1969. La dottrina ha a tal proposito osservato che il dato letterale dell’art. 2054 c.c. non esprime alcuna limitazione – in ordine al suo ambito applicativo – in relazione al luogo di verificazione del danno. Pertanto ai fini della configurabilità della circolazione ai sensi dell’art. 2054 c.c. sarebbe sufficiente un traffico veicolare o pedonale, anche in un area privata. Si pensi al cortile di uno stabilimento industriale ove avvengono continue operazioni di carico e scarico merci oppure al parcheggio di un grande centro commerciale, entrambe aree private in cui però si verifica una situazione di pericolosità paragonabile a quella inerente il traffico su strada pubblica o aperta al pubblico. La giurisprudenza della Cassazione parrebbe propendere per questo filone ermeneutico allorchè esclude l’applicabilità della regola di responsabilità prevista dall’art. 2054 c.c. solo qualora un danno sia stato prodotto in un’area privata in cui non esista nè traffico nè circolazione di veicoli. Di conseguenza ai fini dell’applicazione della disciplina tracciata dall’art. 2054 c.c. è essenziale che sull’area in considerazione possa svolgersi la circolazione di veicoli o di pedoni. Dovrebbe peraltro determinarsi – nell’ipotesi di movimento su aree private non aperte al pubblico – una situazione paragonabile – quanto a pericolosità – a quella del traffico su strade aperte al pubblico. Sicchè esulerebbero dall’ambito applicativo dell’art. 2054 c.c. soltanto quei luoghi chiusi in cui non avverrebbe una vera e propria circolazione bensì un mero spostamento di veicoli (ad es. aree cortilizie condominiali, autorimesse, fondi agricoli). La giurisprudenza qualifica peraltro “aree chiuse” anche le zone militari. Si discute peraltro quale sia la disciplina applicabile ai danni che si verificano in tali luoghi chiusi. Secondo una tesi tale fattispecie rientrerebbe nel paradigma della generale responsabilità aquiliana regolata dall’art. 2043 c.c. Ulteriore prospettazione ricondurrebbe invece l’ipotesi in esame alla previsione dell’art. 2051 c.c., volta a regolare la responsabilità derivante da cosa in custodia. Ciò sul rilievo sopra citato che nei predetti luoghi non si svolgerebbe un traffico veicolare ma soltanto un’attività di spostamento dei veicoli. Corollario di siffatta impostazione sarebbe inoltre l’inapplicabilità della disciplina della r.c. auto alle fattispecie lesive avvenute in tali luoghi. Tale assunto è rifiutato da quella parte della dottrina che considera comunque lo spostamento alla stregua di una species del genus circolazione. Occorre peraltro domandarsi se tale disciplina possa essere ulteriormente integrata (ed in caso di risposta affermativa individuare i criteri suppletivi cui attenersi) nell’ ipotesi in cui il movimento foriero dell’evento lesivo abbia luogo in aree private chiuse che – ad avviso di parte della dottrina – esulerebbero dall’ambito applicativo dell’art. 2054 c.c. nonchè della disciplina della cd. r.c. auto (ad es. cortili condominiali, garages, parcheggi sotterranei di centri commerciali o circoli sportivi). In tal caso sarebbe forse ravvisabile in capo al danneggiante una responsabilità di natura contrattuale e non già meramente extracontrattuale. Ciò a fortiori allorchè il danneggiante ed il danneggiato siano entrambi legati alla struttura privata chiusa ove si verifica l’incidente dal medesimo vincolo contrattuale di volta in volta concretamente individuabile (contratto atipico di parcheggio, contratto associativo del circolo sportivo o ricreativo, contitolarità nascente dal condominio negli edifici). Questo perchè la condotta lesiva posta in essere dal danneggiante ben potrebbe sostanziarsi nell’inosservanza di quel generico dovere di correttezza nell’adempimento delle obbligazioni cui – ai sensi dell’art. 1175 c.c. – deve attenersi il titolare di una posizione contrattuale. Ciò beninteso allorchè questi non fornisca la prova liberatoria ex art. 1218 c.c. che l’evento si sia verificato per causa a lui non imputabile. Č peraltro d’uopo precisare che la responsabilità extracontrattuale si differenzia da quella contrattuale principalmente sotto il profilo dell’allocazione dell’onere della prova e del termine di prescrizione (5 anni dal verificarsi dell’evento lesivo per la responsabilità extracontrattuale, 10 dal verificarsi dell’inadempimento per quella contrattuale). Orbene mentre sotto il profilo dell’onere probatorio in tema di danno da circolazione di veicoli vi sarebbe comunque piena congruenza fra la regola generale di cui all’art. 1218 c.c. ed il disposto dell’art. 2054 c.c. che deroga alla disciplina dell’art. 2043 c.c. ponendo in capo al danneggiante – e non già al danneggiato – l’onere della prova, dal punto di vista del termine prescrizionale invece la qualificazione della responsabilità del conducente come contrattuale avrebbe notevole rilievo pratico. Ed infatti il danneggiato – nelle circoscritte ipotesi sopra citate – potrebbe avvalersi del termine decennale di prescrizione raddoppiando così il tempo a disposizione per la proposizione delle proprie istanze.
13/04/2013
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Rubrica legale a cura dell'avv. Mariano Caputo |
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