|
13^ puntata - ''I profili critici e ricostruttivi: dal danno da circolazione al danno da non circolazione''
I profili critici e ricostruttivi: dal danno da circolazione al danno da non circolazione
Al fine di ricondurre il fenomeno a sistema sembrerebbe opportuno distinguere fra danno da circolazione e danno da non circolazione di veicoli. La prima denominazione indicherebbe i danni prodotti dai veicoli come conseguenza della circolazione e sarebbe soggetto alla disciplina delineata all’art. 2054 c.c. nonchè alle peculiari regole settoriali proprie della r.c. auto. La seconda si riferirebbe invece a quelle fattispecie lesive cagionate da veicoli ancorchè prive di un nesso eziologicamente rilevante con il fenomeno circolatorio. Pertanto in tali ipotesi si applicherebbero le regole di responsabilità inerenti la fattispecie di volta in volta rilevante (ad es. la generale responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., la responsabilità per l’esercizio di attività pericolose prevista dall’art. 2050 c.c., quella da cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c., etc.). La linea di discrimine fra le sopra citate regole di responsabilità risiederebbe dunque nell’esatta individuazione della nozione di circolazione. A tal proposito parrebbe adeguato seguire la definizione del fenomeno circolatorio offerta dall’interpretazione della Corte Costituzionale. Ad avviso del Giudice delle Leggi, infatti, la disciplina della circolazione dovrebbe in re ipsa riguardare non soltanto il movimento dei veicoli, ma anche la loro fermata o sosta. Questo perchè anche il veicolo fermo – ingombrando la carreggiata – sarebbe idoneo ad interferire nel movimento degli altri veicoli, alterandolo oppure ostacolandolo. Sul punto la dottrina ha precisato come la circolazione stradale si sostanzierebbe in un concetto complesso idoneo ad includere nel proprio novero anche la fermata e l’arresto dei veicoli. Sicchè accanto ad una circolazione «dinamica», coincidente con il movimento veicolare in senso proprio, sarebbe enucleabile una circolazione «statica», inerente la fermata e la sosta dei veicoli. La sosta o fermata dei veicoli rientrebbe dunque in un fenomeno di cd. circolazione statica, ove però possa esplicare effetti riflessi in relazione al moto circolatorio di altri veicoli. In tale ottica sembrerebbe appropriata la sussunzione entro il paradigma normativo dell’art. 2054 c.c. (e la contestuale applicazione della disciplina della r.c. auto) del sinistro in parte cagionato da un’automobile in sosta vietata idonea ad occultare la visuale della sede stradale. Detta fattispecie riguarderebbe infatti un danno cagionato dalla circolazione – ancorchè statica – di un veicolo. La differenza fra danno da circolazione e danno da non circolazione emergerebbe invece con maggior nitore in ipotesi d’incendio di un veicolo in sosta. A tal proposito, infatti, occorrerebbe valutare se sussista o meno una specifica connessione causale fra il predetto incendio ed il fatto della circolazione del veicolo. Paradigmatica esemplificazione è costituita dall’incendio dell’auto determinato dall’imprudenza del conducente che abbia lasciato scaldare troppo il motore. In questo caso si applicherebbe dunque l’art. 2054 c.c. nonchè la copertura assicurativa obbligatoria perchè il predetto incendio presenterebbe una connessione diretta con il moto circolatorio del veicolo. La medesima disciplina opererebbe in ipotesi di corto circuito dovuto a difetto di costruzione o di manutenzione del veicolo, stante il disposto del quarto comma dell’art. 2054 c.c. Tale norma rappresenta peraltro uno dei due casi espressamente previsti di responsabilità oggettiva cd. pura in materia d’illecito civile di natura extracontrattuale (l’altro è contemplato dall’art. 2049 c.c. in tema di responsabilità dei padroni e dei committenti). Ciò in quanto la responsabilità civile è nella fattispecie attribuita sulla base della mera sussistenza del nesso di causalità, ossia prescindendo da qualsiasi valutazione inerente l’elemento soggettivo (dolo o colpa) del soggetto danneggiante. Dall’ambito applicativo di siffatta previsione normativa parrebbe invece esulare il corto circuito dovuto a mera vetustà del veicolo, ove il conducente si sia rigidamente attenuto alle regole di manutenzione programmata proprie dello stesso. Questo perchè in tal caso l’accadimento non sarebbe ascrivibile nè a difetto di manutenzione nè a vizio di costruzione e dunque non si applicherebbe l’art. 2054 c.c. (e la disciplina inerente a copertura assicurativa obbligatoria). Sembrerebbe pertanto da condividersi quell’orientamento maggiormente rigoroso ad avviso del quale l'incendio propagatosi a veicoli o a cose sarebbe riconducibile alla circolazione solo in quanto derivante dal suo normale utilizzo, risultando quindi necessario un particolare e specifico nesso di causalità con un determinato evento attinente alla circolazione (surriscaldamento eccessivo del motore, con insorgenza di incendio poco dopo lo spegnimento dello stesso, «ritorno di fiamma », etc.). Differente analisi ricostruttiva ritiene invece che non debba essere ritenuto pertinente alla circolazione soltanto l’incendio doloso. Ulteriori fattispecie di danno da non circolazione di veicoli sarebbero quelle d’incendio derivante da operazioni di carico e scarico del carburante da autocisterna, oppure quelle poste in essere mediante il veicolo ma con modalità diverse dalla circolazione e non prevedibili nè controllabili dal proprietario o conducente. Si pensi ai danni causati dalla caduta di un motoveicolo regolarmente parcheggiato urtato da un passante oppure a quelli derivanti dall’ incauta e repentina apertura di uno sportello posta in essere da un passeggero adulto e pienamente capace d’intendere e volere. All’area del danno da non circolazione di veicoli parrebbe ascrivibile anche la fruizione degli stessi in maniera non corrispondente alla loro naturale destinazione. È il caso dell’uso dell’automobile come arma impropria (si pensi all’eventualità del cd. ariete, in cui una vettura viene utilizzata al fine di sfondare la vetrina di un negozio in occasione di una rapina oppure delle famigerate autobombe che riportano alla mente episodi di cronaca tristemente noti). Questo perchè in tale ipotesi la modalità di fruizione del veicolo non sarebbe in alcun modo eziologicamente connessa all’ usuale moto circolatorio proprio del traffico stradale. In pratica il danno deriverebbe da un uso strumentale del veicolo per finalità differenti rispetto a quelle per cui normalmente è adibito. La categoria concettuale del danno da non circolazione di veicoli rappresenterebbe così una sorta di «contenitore neutro» in cui confluirebbero tutte le fattispecie lesive poste in essere mediante un veicolo, ma con modalità differenti dalla sua naturale funzione circolatoria. In siffatto novero potrebbero altresì rientrare gli eventi lesivi fra veicoli che si verificano in aree chiuse al traffico. Ed infatti – come in precedenza evidenziato – parte della giurisprudenza esclude l’applicabilità della regola di responsabilità prevista dall’art. 2054 c.c. allorchè un danno sia stato prodotto in un’area privata in cui non esista nè traffico nè circolazione di veicoli. La categoria concettuale della danno da non circolazione di veicoli si connoterebbe infatti proprio per l’inapplicabilità ad essa della disciplina relativa alla r.c. auto, il cui ambito oggettivo parrebbe invece circoscritto al danno da circolazione di veicoli. La «neutralità» dello schema emergerebbe invece in relazione alla regola di responsabilità concretamente applicabile in tema di danno da non circolazione di veicoli. Questa non sarebbe infatti unitaria ma coinciderebbe con la disciplina propria della fattispecie di volta in volta rilevante (ad es. generale responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., responsabilità per l’esercizio di attività pericolose ai sensi dell’art. 2050 c.c., responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c.).
30/04/2013
|
|
Rubrica legale a cura dell'avv. Mariano Caputo |
|
|