6^ puntata - ''Commento dei SUTRA - parte 1''
Commento dei “sutra”
Sutra 1, I:
“athayogānuśāsanam”
“Adesso l’insegnamento dello yoga”.
Secondo l’interpretazione di Niranjanananda S., la parola sanscrita anu significa l’aspetto più sottile e sashan, governare. Quindi lo yoga ha la funzione di “… regolare e governare gli aspetti più sottili della personalità umana”.
Sutra I, II:
“yogaschitta-vritti nirodhah”.
“Lo yoga è l’arresto delle funzioni mentali”.
Lo yogi Niranjanananda S. ritiene che il secondo sutra sia poco chiaro se si effettua una traduzione letteraria perchè “… chitta non significa mente. Chitta significa un tipo di coscienza che non è vincolato dalle leggi della natura e la sua funzione è quella di essere l’osservatore delle diverse attività del Sè controllate da Manas, Buddhi e Ahamkara”.
Manas dirige il sistema nervoso sensoriale e motorio. Senza l’attenzione di Manas questi sistemi sono incapaci di assolvere i loro compiti di percezione e di azione. La sua funzione è quella di selezione ed è compiuta sul materiale provvisorio proveniente dall’attività sensoriale.
Manas però non “… possiede un potere indipendente per rivelarsi al soggetto che fa l’esperienza. Perchè le cose possano rivelarsi e realizzarsi come oggetti di percezione devono essere sottoposte all’azione dell’ Ahamkara e del Buddhi”.
Ahamkara è l’affermazione di se stesso come “io”, è il principio d’individuazione, è il concetto di io sono una persona diversa dalle altre. “Quando Manas percepisce una sensazione che poi Buddhi determina, Ahamkara afferma: sono io che la percepisco”.
Buddhi è l’intelletto, in esso prendono forma i concetti, le idee generali che agiscono per mezzo di Ahamkara, di Manas e degli Indriya (sistema nervoso sensoriale e motorio).
Buddhi è quindi il procedimento della razionalità e della comprensione; quindi, gli oggetti esterni stimolano i sensi, le stimolazioni sensoriali sono percepite da Manas, trasmesse all’io dall’ Ahamkara e determinate da Buddhi.
Pertanto, come afferma Niranjanananda S.: “chitta è semplicemente l’osservatore di tutte queste diverse facoltà che sono vincolate dalle leggi della natura e dai guna. Perciò, chitta-vritti significa: le impressioni che chitta si porta dietro a causa di esperienze precedenti. Queste esperienze possono essere di questa vita o di una vita passata o di qualsiasi altra attività conscia o inconscia”.
Nirodhah, nel sutra che stiamo analizzando, significa arresto. Di conseguenza, Yoga è l’arresto delle impressioni che l’osservatore ha sedimentato a causa di esperienze precedenti e che intervengono nella vita attuale.
L’armonizzazione dei diversi aspetti della personalità e delle energie sottili che vi sottendono (guna) dunque, non può prescindere da un lavoro accurato sulle impressioni che ci portiamo dietro a causa di esperienze precedenti.
Il controllo dei chitta-vritti e la loro successiva abolizione non possono essere compresi senza che lo yogi li sperimenti direttamente.
Patanjali pone quindi, come elemento centrale del percorso yogico, l’esperienza, lo sperimentare direttamente quello che s’intende cambiare e abolire.
Nei sutra successivi, a partire dal sutra ventinove del II libro, Patanjali fornisce allo yogi, oltre ad un complesso di tecniche, delle indicazioni sul cammino ascetico che egli divide in otto tappe:
1. Yama: principi etici-regole;
2. Niyama: principi morali-disciplina;
3. Asana: posture;
4. Prānāyāmā: il controllo del respiro;
5. Pratyāhāra: il ritiro dei sensi;
6. Dhāranā: la concentrazione;
7. Dyhāna: la meditazione;
8. Samādhi: stato superiore di coscienza.
Le prime due tappe individuate dall’autore si riferiscono alla necessità per lo yogi di gestire le sue pulsioni e di avere un codice etico di comportamento.
Negli aforismi successivi l’autore spiega più in dettaglio le otto tappe dello Yoga.
25/05/2013
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