10^ puntata - ''Usiamo le parole che ci appartengono e riscopriamo il valore terapeutico del silenzio - 2^ parte''
3) Liberiamoci delle parole inutili e stiamo di più in silenzio
Cerchiamo il silenzio, attraverso momenti di “depurazione” dall’eccesso di parole. È soltanto nel silenzio, infatti, che possiamo incontrare i “nostri” suoni e le “nostre” parole: quelli che davvero ci appartengono e che possono guarirci da tutti i mali. Il suono, infatti, nasce dallo spazio interiore: a sgombrare tale spazio è il silenzio, che ha la funzione di smaterializzare il pensiero e di creare il vuoto, luogo di incubazione della parola viva e grembo di accoglimento dell’ascolto.
Con il silenzio annulliamo tutte le parole sbagliate e inutili che si affollano dentro di noi. E se per una manciata di minuti siamo capaci di restare a mente vuota, senza farci prendere dalla fretta o dalla preoccupazione di fare o di dire per forza qualcosa, ci renderemo conto che, con assoluta naturalezza, si affacceranno alla nostra mente le parole giuste, quelle più indicate per quella certa situazione…
Secondo i più recenti studi neurologici, infatti, nel silenzio il nostro cervello si riorganizza, si ripulisce e, probabilmente, riaffiorano funzioni cerebrali diverse, molto antiche, messe sullo sfondo dal fluire continuo ed eccessivo delle parole.
In effetti, se è vero che conosciamo poco e male le parole, sappiamo ancora meno del loro contraltare: il silenzio. Di solito lo definiamo semplicemente come una “assenza di parole”. Eppure, sembrerebbe proprio il contrario: senza silenzio non c’è comunicazione, ed è nel silenzio, infatti, che le parole “buone” e vere, quelle che ci appartengono nel profondo, possono emergere e farsi ascoltare, guarendoci da ogni cosa. Non a caso, se leggiamo le opere dei saggi e dei mistici di tutte le culture, scopriamo che imparare a dedicare uno spazio adeguato al silenzio e all’auto-ascolto è un momento fondamentale nel percorso verso la ricerca del significato della vita.
Come osserva ancora Vimala Thakar, “chi non fa conoscenza con la realtà del silenzio, del senza suono, chi non si immerge nel silenzio, non capirà mai come il suono, la parola, nasca da lì”. Di fatto, “il suono del linguaggio che non è nutrito, che non si nutre del silenzio, dello spazio interiore, è un linguaggio deperito, anemico. Quelle parole non hanno vita, non hanno dinamismo, non toccano il cuore della gente”.
La cultura contemporanea, invece, ci riempie di parole e ci costringe a vivere in uno spazio intasato di suoni, di pensieri, di proiezioni mentali.
È proprio per questo che, quando una forma apparentemente “patologica” di silenzio si impadronisce di noi (può essere il silenzio strisciante della depressione, quello teso dell’ansia, il vuoto di parole e di respiro generato dal panico), avvertiamo subito l’esigenza di ricorrere ai farmici fin dai primi segni di disagio, per sconfiggerlo e annientarlo, come se si trattasse di qualcosa che ci aggredisce dall’esterno anzichè dal nostro profondo. D’altra parte, non vogliamo capire che, se stiamo male, è perchè qualcosa dentro di noi si è attivato per chiederci di cambiare rotta, di allontanarci dal percorso esistenziale che abbiamo intrapreso, dalla strada che abbiamo deciso di percorrere e che, evidentemente, non ci appartiene dall’origine o che non ci appartiene più. Se dunque arrivano ansia, depressione o altri disagi, lasciamoli venire, contempliamoli in silenzio e, proprio lì, nel profondo silenzio, andiamo a ricercare il suono giusto per superarli.
Di Vittorio Caprioglio
18/07/2013
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