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14^ puntata - ''UN CASO “CLINICO” DI DIRITTO PENALE (Art. 483) - 2^ parte''

14^ puntata - ''UN CASO “CLINICO” DI DIRITTO PENALE (Art. 483) - 2^ parte''


UN CASO “CLINICO” DI DIRITTO PENALE (Art. 483) - 2^ parte
Non vale sostenere che non vi è alcuna norma di legge che imponga al privato di attestare il vero. L’art. 483 c.p. non dispone che l’atto pubblico debba essere destinato “per legge” a provare la verità dei fatti in esso esposti, ma dice soltanto che deve essere destinato a provare la verità dei fatti esposti. Detta “destinazione” non è necessario che sia disposta da un’espressa norma di legge, ma può ben profilarsi attraverso l’intero sistema oppure, ad esempio, attraverso regole anche interne di procedura amministrativa.
Nel caso in esame si rileva che la denuncia di smarrimento, vistata dagli organi di polizia, costituisce elemento necessario nell’iter burocratico del rilascio di un duplicato, elemento che di certo non può ritenersi illegittimamente imposto, anche se nessuna norma di legge disciplini la procedura in questione.
È interessante notare che la stessa Corte di Cassazione, nei due ultimi casi sottoposti al suo esame in tema di art. 483 c.p., ha ravvisato il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico: 1) nell’ipotesi di colui che denunci all’autorità di P.S. di avere smarrito due polizze di assicurazione, “ avendo egli l’obbligo giuridico di deporre la verità nella formazione del documento richiesto, che aveva la specifica funzione di provare il fatto dichiarato” (Sez. III, 12-10-1964, ric. Specchi, in Mass. Cass. Pen. 1965, 358); 2) nell’ipotesi di colui che assuma il falso in un atto notorio destinato ad essere esibito al presidente del tribunale al fine di ottenere un sequestro conservatorio. Poichè questo può essere concesso su “sommarie informazioni” che confortino l’assunto del creditore circa il pericolo di perdere altrimenti la garanzia (art. 672 c.p.c.), l’attestazione degli interessati ha la particolare funzione probatoria postulata dalla norma incriminatrice (Sez. II, 8-11-1965, ric. Taiti ed altri, in Foro Ital. 1966, II, 364).
Francamente non si scorge la diversità sostanziale fra i due casi sopra decisi e quello della falsa denuncia di smarrimento della patente o della carta di circolazione. A quanto pare, nemmeno nei due casi citati si ritrova un’espressa norma di legge che destini l’atto a specifica funzione probatoria, giacchè tale funzione viene in entrambi i casi a profilarsi attraverso l’interpretazione di altre norme del sistema (ciò appare evidente soprattutto nel caso del sequestro conservativo, nel quale le dichiarazioni rese dal privato nell’atto notorio vengono assunte sotto lo schema delle “sommarie informazioni” che il presidente del tribunale ha facoltà di acquisire).
Le osservazioni che precedono portano a concludere che a norma di cui all’art. 483 c.p. deve essere condotta sul metro dell’interesse penalmente tutelato. La norma tende ad impedire che il privato compia false dichiarazioni in qualsiasi atto pubblico il quale, per legge, regolamento o prassi, sia destinato ad una funzione probatoria giuridicamente rilevante. Restringere la previsione del disposto alle sole ipotesi in cui detta funzione probatoria sia contemplata da espressa disposizione di legge, significa svuotare la sua forza intimidatrice di notevole parte del contenuto e lasciare libero campo a svariati abusi, fra i quali, non ultimo quello che ha dato lo spunto a questa breve nota.
Dr. Antonio Maralfa
Sostituto Procuratore della Repubblica


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