15^ puntata - ''LE PAROLE NELL’ANTICHITÀ TRA RELIGIONE E MITO - 2^ parte''
LE PAROLE NELL’ANTICHITÀ TRA RELIGIONE E MITO - 2^ parte La forza creatrice della parola è dunque associata all’idea della potenza magica dei nomi.
Nominare una cosa, infatti, significa in molte culture non solo conoscere la cosa stessa, ma anche possederla. La parola agisce come un velo di vibrazioni tra la volontà umana e l’invisibile. E non è tutto: il ragionamento vale anche per i nomi propri di persona.
- Sempre in Africa, per esempio, i bambini più piccoli vengono chiamati con brutti nomi fittizi (“Goccia di fango”, “Fruttino marcio”, “Fiore appassito”), come artificio per ingannare i demoni: infatti, se questi conoscessero il nome vero dei bambini, potrebbero aggredirli e far loro del male.
- In molte tradizioni, esistono anche nomi ritenuti tanto potenti da non poter essere pronunciati se non all’interno di un contesto cerimoniale: la magia ellenistica, per esempio, ha ereditato tale credenza, ritenendo addirittura che esistesse un nome speciale, una parola segreta dal potere infinito capace di controllare tutto il creato.
- Se per gli antichi nominare una cosa significava anche “possederla”, nel caso dei Romani questa credenza si arricchisce di un’ulteriore declinazione: l’atto di nominare l’Urbe da parte dei nemici significava possederla e quindi esporla alla distruzione. Per questo motivo, la città di Roma aveva un nome segreto (rimasto tuttora sconosciuto), difeso dai “patres” con un giuramento: se i nemici avessero pronunciato quel nome, la città sarebbe stata assalita e rasa al suolo.
- Un’ultima testimonianza: nell’Apocalisse di Giovanni, si rivela che, nel giorno estremo, un angelo recherà a ogni persona il proprio nome segreto scritto con lettere splendenti sulla pietra. Solo allora, l’aderenza tra la persona e il suo vero nome sarà totale.
Di Vittorio Caprioglio
13/09/2013
Importanza della comunicazione e linguaggio del corpo