2^ puntata - ''Il Cavallo e i suoi avi''
Il Cavallo e i suoi avi
Le radici dell’albero genealogico del cavallo affondano sino a giungere a circa 60 milioni di anni fa e gli scavi archeologici hanno riportato alla luce i resti di un animale, l’Eohippus, che rappresenta, almeno sino ad oggi, l’antenato comune della famiglia equina.
Grazie alla cospicua quantità di reperti e fossili rinvenuti, soprattutto in territorio nordamericano, è oggi possibile ricostruire un quadro delineato dell’evoluzione equina, più di quanto sia stato finora possibile per tutte le altre specie animali.
Il percorso evolutivo della dentatura, il numero dispari delle dita degli arti, abbinate ad altre caratteristiche fisiche hanno permesso agli studiosi di sovrapporre la linea evolutiva del cavallo a quella dei Perissodattili, famiglia della quale fanno parte tapiri e rinoceronti e a differenziare in maniera piuttosto evidente le successive tappe evolutive fu soprattutto l’estrema facilità di adattamento dimostrata dal cavallo rispetto a condizioni climatiche e ambienti differenti.
Evoluzione Fisica del Cavallo
Gli antenati del cavallo avevano sviluppato, grazie ai suoli umidi e molli, tipici delle foreste primordiali, un arto inferiore che permetteva l’andatura su più dita allargate e con il progressivo avanzare della steppa, favorito da un clima che diventava sempre più secco, si registrò un notevole e repentino aumento del numero di predatori. Questo costrinse i progenitori del cavallo attuale ad aumentare la propria velocità, grazie al sollevamento di alcune delle dita e all’allungamento sensibile degli arti.
Queste condizioni costituirono un passaggio intermedio della fase evolutiva relativa agli arti che condurrà alla formazione dello zoccolo, fattore che ci permette di attuare una distinzione fra il cavallo attuale e i suoi più lontani predecessori, dotati al contrario di dita multiple.
Progenitori del Cavallo
Il processo evolutivo del cavallo prende le sue mosse nel corso dell’Eocene, un’epoca del periodo Cenozoico che va dai 55 ai 34 milioni di anni fa, caratterizzata da un clima caldo e uniforme e dal progressivo aumento delle dimensioni della quasi totalità dei mammiferi.
In questa fase si registrò la presenza dell’Hyracotherium, che possedeva le caratteristiche fisiche – testa abbastanza corta, dentatura costituita da 44 denti con molari molto robusti e irregolari, dorso elastico e arcuato – che permisero di individuarlo come il più diretto progenitore del cavallo attuale, nonostante una taglia estremamente ridotta, pari all’incirca a quella di una volpe.
All’Hyracotherium, conosciuto dai paleontologi anche con il nome di Eohippus, si affiancò nel corso dell’Eocene un’altra specie di cavallo, denominata Propalaeotherium. Le due specie ben presto si suddivisero in diversi rami, come dimostra il ritrovamento di migliaia di fossili – dalle dimensioni contenute, paragonabili a quelle di un cane di piccola taglia – in Europa – dove sono stati rinvenuti solo scheletri di Propalaeotherium – e in Nord America.
Con il passaggio all’Oligocene, era successiva all’Eocene che abbraccia un periodo che va dai 34 ai 23 milioni di anni fa, si assiste alla modificazione del clima e dell’ambiente Nordamericano, con le foreste che lasciano progressivamente spazio a pianure coperte di erba e cespugli, a tratti sabbiose per cui l’inizio di tale era si caratterizza per l’apparizione del Mesohippus, alto all’incirca mezzo metro, che, sfruttando il fatto di camminare su tre dita, era in grado di sviluppare una velocità sostenuta.
Nel passaggio dall’Oligocene al Miocene – tra i 24 e i 5 milioni di anni fa – il Mesohippus si evolve in Miohippus, che presentava dimensioni maggiori e alla metà del Miocene si fa risalire la comparsa del Merychippus che, dovendo rosicchiare piante erbacee sulla dura steppa, sviluppa una lunghezza maggiore e molari più robusti di quelli dei suoi progenitori.
Dalle numerose specie di Merychippus discendono tre nuovi tipi di equidi, l’Hipparion, il Protohippus e il Pliohippus e quest’ultimo divenne prima Plesippus, quindi Dinohippus, dal quale, nel corso del Pliocene – fra i 5,2 milioni e 1,8 milioni di anni fa – si genera l’Equus, il più diretto antenato del cavallo attuale.
Al termine del Pliocene il Nord America andò incontro a una repentina mutazione dell’ambiente dovuta al sopraggiungere della prima delle cinque glaciazioni del Quaternario che spinse interi branchi di Plesippus a cercare rifugio in Sud America, altri ad attraversare lo Stretto di Bering, percorribile perchè ghiacciato, e a raggiungere così l’Asia e l’Europa e adattandosi alle nuove condizioni climatiche, il cavallo andò incontro alla differenziazione in quattro tipologie, che non hanno comunque in nessun modo inciso sullo sviluppo delle specie equine successive.
In Asia si diffuse il cavallo delle steppe, detto anche Selvatico dell’Asia o Przewalski, più a ovest troviamo il cavallo delle pianure contraddistinto dagli arti leggeri e denominato Tarpan, nel Nord Europa si sviluppa un cavallo più pesante e lento, che prende il nome di Diluviano o delle Foreste e in Siberia sono stati invece rinvenuti i fossili del cavallo della Tundra.
I resti dell’Equus Stenonis, la specie più antica sinora conosciuta del vero cavallo, sono stati rinvenuti in Italia e a partire dall’Equus Stenonis si sono sviluppati due rami evolutivi differenti: uno dei due ha generato i cavalli più pesanti; l’altro sta alla base dell’evoluzione dei cavalli più leggeri.
Il cavallo nordamericano, detto Equus Scotti o giganteus, era molto simile allo Stenonis, pur essendo di dimensioni sensibilmente maggiori, purtroppo, a seguito di una pandemia infettiva, fra gli 8.000 e i 10.000 anni fa, nel territorio americano i cavalli – nella forma dell’Hippidium – si estinsero, ma a reintrodurli furono i conquistadores spagnoli a partire dal ‘500.
L’Equus ferus comparve invece fra i 630.000 e i 320.000 anni fa, e si tratta sostanzialmente di un cavallo selvatico, ancora presente oggi in alcune zone dell’Asiamentre l’Equus caballus, suo discendente diretto, non è altro che il cavallo odierno, e rappresenta il risultato dell’addomesticazione selettiva dello stesso Equus ferus avvenuta in diverse zone dell’Eurasia.
Mutamenti Evolutivi
Gli studi di carattere filogenetico hanno consentito di ricostruire in maniera dettagliata le peculiari modificazioni subite durante la fase evolutiva finale dal cavallo.
Alla mutazione dei denti – da onnivori a erbivori – corrisponde anche l’allungamento della parte facciale del cranio, con conseguente spostamento all’indietro della zona orbitale. È in questa fase che il collo si allunga, seguendo lo stesso processo intervenuto per gli arti, per facilitare l’ingestione del cibo brucato nelle praterie e il corpo vide accrescere le proprie dimensioni non solo per l’aumento della disponibilità di cibo, ma soprattutto per la varietà intervenuta a livello alimentare.
23/10/2013
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