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4^ puntata - ''Dati sull'attività del Monte di Pietà (XVI-XVIII sec.) - 3^ parte''

4^ puntata - ''Dati sull'attività del Monte di Pietà (XVI-XVIII sec.) - 3^ parte''


Tab. 3 Spese caritativo-assistenziali del Monte dal 1598 al 1672
(Medie triennali. Dati espressi in ducati e grana)


Anni-Elemosine per poveri-Esborsi per medicine-Spese per gli ammalati-Totale
1598-1600 ----- 82.63 ---------- 15.72 ---------- 0 ---------- 98.35
1601-1603 ----- 115.11 ----------- 12.15 ---------- 0 ---------- 127.26
1604-1606 ----- 111.87 ---------- 35.20 ---------- 0 ---------- 147.07
1607-1609 ----- 167.88 ---------- 64.08 ---------- 0 ---------- 231.96
1610-1612 ----- 102.33 ---------- 59.36 ---------- 0 ---------- 161.69
1613-1615 ----- 73.79 ---------- 50.13 ---------- 0 ---------- 123.92
1616-1618 ----- 106.82 ---------- 17.81 ---------- 0 ---------- 124.63
1619-1621 ----- 120.35 ---------- 79.69 ---------- 0 ---------- 200.04
1622-1624 ----- 99.85 ---------- 52.30 ---------- 0 ---------- 152.15
1625-1627 ----- 107.78 ---------- 30.91 ---------- 15.51 ---------- 154.20
1628-1630 ----- 134.02 ---------- 28.81 ---------- 5.47 ----------168.30
1631-1633 ----- 75.93 ---------- 21.79 ---------- 9.11 ----------106.83
1634-1636 ----- 99.98 ---------- 19.59 ---------- 8.57 ---------- 128.14
1637-1639 ----- 129.67 ---------- 18.38 ---------- 15.11 ---------- 163.16
1640-1642 ----- 105.01 ---------- 6.42 ---------- 7.44 ---------- 118.87
1643-1645 ----- 133.49 ---------- 6.37 ---------- 31.84 ---------- 171.70
1646-1648 ----- 86.30 ---------- 27.47 ---------- 34.0 ---------- 147.77
1649-1651 ----- 94.27 ---------- 15.66 ---------- 19.74 ---------- 129.67
1652-1654 ----- 105.61 ---------- 10.14 ---------- 19.02 ---------- 134.77
1655-1657 ----- 161.38 ---------- 15.41 ---------- 19.30 ---------- 196.09
1658-1660 ----- 160.02 ---------- 55.15 ---------- 80.04 ---------- 295.21
1661-1663 ----- 10.92 ---------- 46.25 ---------- 67.99 ---------- 125.16
1664-1666 ----- 20.46 ---------- 22.96 ---------- 67.97 ---------- 111.39
1667-1669 ----- 16.00 ---------- 36.16 ---------- 81.10 ---------- 133.26
1670-1672 ----- 31.78 ---------- 86.63 ---------- 125.68 ---------- 244.09

Il contenuto della tabella n. 3 evidenzia il costante impegno del Monte nel sovvenire ai bisogni degli strati indigenti della popolazione molfettese, soprattutto allorchè la crisi economico-sociale si fa più acuta, come nel 1607, anno di grande penuria, quando il Monte interviene massicciamente come non mai, distribuendo con i soliti bollettini più di 320 ducati, di cui 20 offerti per le feste di Natale; e ancora nell’anno successivo, oltre alla solita elemosina rientrata nella misura standard, furono spesi 46 ducati per “pestaccie”, evidentemente in sostituzione dei tradizionali alimenti ancora mancanti.
Risulta altrettanto evidente dall’analisi della tabella che le spese per elemosine scemano considerevolmente negli ultimi anni del periodo considerato in rapporto all’aumento delle spese per gli ammalati, indubitabile altro segno degli effetti della crisi che colpì gli anni settanta del XVII secolo, quando “la recessione secolare dell’economia napoletana … trovò la fase più acuta” , con evidente riflesso nell’aumento delle spese per medicinali, che nella loro irregolarità raggiungono l’apice nel triennio 1670-72, mentre non si presentano eccessive nel triennio 1655-57 in concomitanza con l’epidemia di peste, a conferma evidente del fatto che Molfetta non ne fu toccata, anche se gli strascichi che essa lasciò, indirettamente, tanto nella situazione sanitaria, quanto nelle condizioni materiali di vita, si possono leggere riflessi nella spesa complessiva del triennio successivo, la più alta del periodo considerato.
Dunque, non sempre è possibile, sulla base della documentazione superstite, intendere fino in fondo la ratio dell’andamento delle spese del sodalizio, anche perchè non sempre v’è perfetta corrispondenza tra anni ritenuti critici e spese per interventi tendenti ad alleviare lo stato di bisogno della popolazione. Ad esempio risulta estremamente bassa (duc. 8.50) la spesa per elemosine nel 1648, anno in cui il prezzo del grano si triplicò e il forte disagio della popolazione si riflettè l’anno successivo in una accentuata mortalità . Anche in questo caso le testimonianze coeve sono molto eloquenti e sono quelle di chi comunque può tentare di avere accesso al credito, forte dello stato clericale e del corredo di benefici. Si può facilmente immaginare che cosa dovesse essere la condizione di colui per il quale tale possibilità era preclusa: si parla di tempi “penuriosi di denari e carestia di vettovaglie et principalmente di grano che costa caro, et d’ognaltra cosa comestibile” .
Nell’anno successivo la spesa per elemosine, comprensiva di 9 ducati per “sovvenimento di poveri vergognosi”, sfiora i 74 ducati, ma risulta poca cosa per una situazione descritta ancora a tinte fosche dai contemporanei: “li detti c[lerico] Gio.Lorenzo [e] Mauro Ant.o et sorelle de Vo[lpice]lla vanno quasi tutti spogliati et nudi et per multi giorni sono stati senza pane con periculo di morirsi dalla fame poichè il grano vale à carlini 36 il tomolo con carestia et difficoltà di haversi, cossì per l’infertilità come anco per il prezzo exorbitante et per mancanza d’entrade d’ogni sorte di vettovaglie” . Evidentemente il Monte era intervenuto massicciamente quando si erano avute le prime avvisaglie della crisi, distribuendo dal 1644 al 1646 oltre 470 ducati ed aveva dato fondo alle risorse disponibili: non è un caso infatti che in questo triennio le spese per medicine e ammalati si riducano e che quelle per medicine nel 1644 conoscano uno dei livelli più bassi . Nel 1648 il comune eroga duc. 151.50 ai poveri e ne spende 109 per i “gittatelli”, a cui si aggiungono gli 82 dati a ecclesiastici di cui si serviva solitamente per erogare elemosine a poveri, integrando evidentemente il limitato impegno del Monte .

I lasciti dei benefattori che avevano incrementato le finanze del sodalizio imponevano non solo precisi obblighi caritativi, ma anche altrettanto inderogabili obblighi religiosi, che consumavano gran parte dei proventi, tant’è che nel 1766, quando le entrate dell’ente sommano a una cifra non difforme da quella di cento anni prima, dei 754 ducati disponibili poco meno della metà sono utilizzati per la celebrazione dei suffragi . I legati, dunque, rispondevano a quella particolare esigenza culturale controriformistica che non si limitò a legare indissolubilmente fede e carità, ma promosse anche in forme accentuate la “religione della speranza”.
Far vivere il rapporto con Dio attraverso gli altri, riguardava anche i morti. Se Lutero aveva cancellato ogni possibilità di azione verso i defunti, eliminando il sistema delle indulgenze, la Chiesa di Roma considerava l’azione verso i defunti come l’espressione massima della carità, in quanto soddisfaceva a una benefica domanda di speranza nella vita futura. Di qui l’elevato numero di suffragi: le ricchezze possedute o accumulate e “il tesoro spirituale di meriti messo insieme in secoli di preghiere e di opere – tesoro che si vedeva e si toccava nelle istituzioni cittadine, nelle chiese, nei santuari” ponevano l’esigenza del diritto a godere e a trasmettere siffatto patrimonio materiale e spirituale, esigenza che faceva tutt’uno “con la fiducia di poter cancellare le colpe, rimediare ai difetti, salvare financo i morti – la speranza, appunto” .
Altresì l’Ospedale, ancora agli inizi del Settecento, non è una struttura di rilievo, tale da richiedere cospicui investimenti. Nella relazione della Visita pastorale di mons. degli Effetti del 1704 risulta costituito di una camera per gli uomini con cinque posti letto, a cui se ne possono aggiungere altri in caso di necessità, e di una per le donne, evidentemente più angusta, con tre posti letto, cui se ne può aggiungere solo un altro. Siamo nel gennaio del 1705, in una stagione in cui le malattie dovrebbero essere abbastanza diffuse, e il vescovo trova nel reparto degli uomini un solo malato e in quello delle donne due malate. La struttura si completa di un stanza per i sacerdoti “peregrinanti”, della stanza delle inservienti e di un’altra per i mendici peregrinanti con quattro posti letto .
Non è facile intendere se la limitatezza della struttura e la modestia del servizio siano la conseguenza delle scarse risorse di cui l’Ospedale poteva godere, visto che le risorse del Monte dovevano far fronte a diversi e a volte più cospicui impegni caritativi, o invece l’effetto di una cultura sanitaria diversa da quella dei nostri tempi, che teneva lontani dall’Ospedale non solo i ricchi ma anche i bisognosi e che di conseguenza non sollecitava a forti impegni di spesa se non nelle forme di assistenza domestica ai malati poveri . In ogni caso non può non colpire il fatto che già nel 1598, nonostante l’apporto del lascito di Claudio Gadaleta, l’impegno finanziario per l’Ospedale risulti notevolmente ridotto rispetto al periodo 1561-64 . Gli scarsi dati a disposizione sulla contabilità non ci aiutano a fare chiarezza, così come, non essendo possibile visionare la Platea dei beni del Monte, non si può verificare la correttezza dell’amministrazione del sodalizio.
Anche se è legittimo prendere con cautela la ricostruzione del La Sorsa su questo particolare aspetto della vita del Monte, come s’è detto non mancano indizi che ci inducono a ritenere che quanto meno l’amministrazione non sia stata sempre impeccabile. L’aspetto più appariscente riguarda la mancata elargizione di maritaggi, che nel 1795 raggiunse la cifra considerevole di 2214 ducati, ma già nel corso del Seicento alcune zitelle estratte a sorte e sposate lamentano di non essere state liquidate e soprattutto che per la mancata liquidazione del beneficio sono minacciate di essere abbandonate dai mariti . Nel 1625 il Monte è “condannato” dal commissario della Reverenda Fabbrica di S. Pietro a far deposito di 850 ducati per maritaggi non elargiti dal 1620 al 1623 . Questo problema, in realtà, si era subito manifestato, giacchè dal momento della morte del benefattore, avvenuta il 13 marzo 1590, alla stessa data del 1594 non era stata elargita nessuna dote, mentre, nota nel 1598 il commissario apostolico incaricato del controllo, quando le doti si sono cominciate a concedere, a tale Elisabetta de Pensarosa sono stati elargiti ben 80 ducati invece dei 50 previsti .
Non ci è dato sapere quali siano state di volta in volta le ragioni di siffatte inadempienze, che riguardavano un aspetto della gestione di particolare rilevanza e con forti ricadute sul piano del controllo sociale, giacchè i nomi delle zitelle, che dovevano annualmente essere “messe in lista” perchè se ne estraessero sei a sorte, dovevano essere proposti dalle massime autorità ecclesiastiche e politiche locali, previa richiesta delle interessate: è evidente che in questa procedura non si possono escludere forti margini di discrezionalità e si possono immaginare scelte che favorissero soggetti propensi al conformismo e al modello di donna che la cultura sociale del tempo imponeva . Questa ipotesi è suffragata da esplicite testimonianze in tal senso, che, sebbene riguardino un periodo storico lontano da quello che si sta esaminando, caratterizzato dall’intento di escludere dalla vita del sodalizio le interferenze esterne attinenti ai diritti di presentazione delle zitelle da parte degli amministratori locali, purtuttavia possono considerarsi altrettanto plausibili e lasciano cadere un’ombra di sconcertante costume su un atto di importante solidarietà sociale.

Quando infatti nel 1914 il sodalizio delibera di sospendere definitivamente l’elargizione dei maritaggi per investire quella rendita in maggiori contributi per l’Ospedale, la motivazione principale utilizzata consta della osservazione che “coi dotaggi gente poco coscienziosa investita del diritto di presentazione, ipoteca fin da bambine come domestiche coloro che debbono presentare, se non fanno mercato del loro onore” . A parte questo aspetto inquietante, che per quanto documentato tardivamente non può essere escluso per il periodo precedente, per cui le “somme addette ai maritaggi venivano largite a scopo di signoria e favori esclusivamente personali” , la discrezionalità emergeva anche quando alle beneficiate, venendo spesso i 50 ducati di dote concessi sotto forma di censo, si elargivano quote annue diverse, da 4 a 4.50 ducati, variando dall’8% al 9% il tasso con cui erano stato concesso il capitale mutuato corrispondente alla dote .
Nell’aprile del 1594, quando si procedè alla prima estrazione e furono contestualmente stabilite anche le procedure, il governatore del Monte giustificò le inadempienze dei quattro anni precedenti sostenendo che “non [si era] possuto procedere al maritaggio delle sudette citelle per molti legitimi impedimenti dell’heredità sudetta intrigata in diversi debiti” . Per il periodo successivo, in mancanza di precisi riferimenti, è possibile argomentare che poichè buona parte delle doti era concessa sotto forma di censi, il ritardo o la mancata esazione delle relative quote, sia per insolvenza dei reddenti sia per incuria degli amministratori, determinava siffatte disfunzioni, così come in altre occasioni il Monte per mancanza di liquidità è costretto a soprassedere all’elargizione di pane ai poveri e viene “condannato” a rispettare quest’altro importante impegno caritativo .
A volte invece, nella prima metà del Seicento, la mancata elargizione è causata dal fatto che le zitelle, dopo essere state estratte a sorte, stentano a trovare marito e di conseguenza per non risultare inadempiente il Monte, nella persona del governatore, deve rivolgersi alla Corte principale per denunciare questa anomalia e perchè intervenga a sollecitare al matrimonio le destinatarie del beneficio. Per questa ragione nel dodicennio 1600-1611, su 3900 ducati che dovevano essere elargiti per doti, ne erano stati spesi solo 2050, cioè poco più della metà . Il dato tuttavia non risulta poi tanto sorprendente se consideriamo che la crisi economica del primo Seicento rese più difficili i matrimoni, tanto che nel 1607 si registra il minimo assoluto, giacchè in quell’anno a Molfetta “non solo è occorso lo male raccolto dell’oglio, amendole, ma anco [i cittadini] non hanno fatto provisioni di grani” .
Da quanto s’è detto, risulta evidente che i casi di inadempienza che si sono verificati, soprattutto per quanto concerne i maritaggi, non sono sempre addebitabili a più o meno gravi demeriti degli amministratori, ma anche a fattori oggettivi, indipendenti dalla loro volontà. Queste considerazioni però non eliminano del tutto le ombre che sull’amministrazione del Monte si sono addensate anche a causa del ritardo nella tenuta sistematica dei libri contabili, come dimostra la tardiva compilazione della Platea. Non può essere tuttavia sottaciuto che la documentazione superstite testimonia che almeno per la prima metà del Seicento gli amministratori del Monte furono costantemente tenuti sotto controllo e chiamati a dare ragioni delle inadempienze riscontrate. Resta il fatto che esso fu un’istituzione di carattere composito, con prevalente interesse religioso-caritativo, secondo i ricordati orientamenti della Chiesa controriformistica, incentrato sulla celebrazione di numerosi suffragi, sul governo dell’Ospedale, sull’elargizione dei maritaggi, sul riscatto dei prigionieri dalle mani degli infedeli, sulle elemosine distribuite ai poveri, anche nella forma di distribuzione di pane, e che a questi impegni bene o male fece fronte, contribuendo al miglioramento civile e sociale della città. Le rimane estraneo il prestito su pegni, che invece caratterizza altri Monti della Pietà pugliesi e che a Molfetta darà vita a un monte a sè stante, il Monte dei pegni, che comincerà a operare dal 1665 .
Per quanto la sua fisionomia si sia nel tempo identificata con l’ospedale tout court, appare evidente da quanto s’è detto che di fatto l’ospedale come istituzione fu, nel periodo considerato, poca cosa, giacchè la presenza degli ammalati fu sempre limitata a poche unità, solitamente pellegrini o soggetti privi di assistenza famigliare . Non è un caso che la gestione dell’ospedale fosse affidata a un religioso, secondo i dettami di una cultura che poneva al centro dell’interesse la salvezza dell’anima, prima ancora di quella del corpo, ragion per cui “il confessore contava più del terapeuta” . L’assistenza religiosa, in caso di malattia, era un obbligo, non una scelta: “et ricordiamo alli medici –intimava nelle sue disposizioni sinodali il vescovo Bovio nel 1609- l’obligo che hanno di avisare gl’infermi à chiamarsi li medici dell’anime loro, et passati li tre giorni di non li curare, ne visitare più se non si saranno confessati” . Allo stesso modo l’impegno caritativo di liberare i concittadini dalle mani dei turchi rientrava nell’ambito della cultura controriformistica della difesa della fede e riguardava la preoccupazione preminente di salvare l’anima dei prigionieri, prima che potessero cedere inopinatamente alla conversione al credo degli infedeli: almeno tale risulta quella dei confratelli del SS.mo Sacramento, quando nel 1662 sono chiamati a deliberare il loro contributo a favore del riscatto di un numero imprecisato di prigionieri e motivano la loro carità, facendo riferimento al “grandissimo pericolo dell’anime loro” .
Va sottolineata, inoltre, l’attenzione che nell’ambito di questo sistema caritativo venne posta nei confronti della tutela delle donne, nella specifica forma di una cultura sociale che mirava a ricomporre nell’equilibrio famigliare, di cui la donna era parte fondamentale, le conseguenze negative delle crisi economiche e delle inquietudini sociali. Era la donna al centro delle attenzioni della classe nobiliare al governo, il soggetto considerato per natura più debole fisicamente e moralmente più periclitante, l’anello debole della catena di difesa contro la diffusione della demoniaca tabe protestante, e proprio per questo doveva essere economicamente sostenuta e socialmente integrata per evitare che se ne facesse consapevole strumento di penetrazione . Oppure, più semplicemente, al di là di sofisticate osservazioni di sociologia storica, tanta attenzione per le donne poteva essere anche il frutto della constatazione della loro oggettiva debolezza sociale e della ricaduta negativa delle crisi economiche sul tessuto sociale.
Dunque, la fondazione del Monte molfettese non rientra nello schema generale che vede la nascita dei Monti di pietà nell’Italia meridionale legata ai provvedimenti antiebraici del governo spagnolo, che culminarono nel decreto di espulsione del 1541, e sollecitata quindi essenzialmente dall’esigenza di ripristinare una normale attività creditizia prima tenuta appunto dagli ebrei, bensì in quello tipicamente post-tridentino di diffusione capillare della solidarietà sociale, intesa come servizio a favore dei più bisognosi allo scopo di impedirne la più completa degradazione fisica e morale .


03/11/2013
Le origini del Monte di Pietà a cura di Arcangelo Ficco