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22^ puntata - ''Come comunica l’Arbitro le Sue decisioni?''

22^ puntata - ''Come comunica l’Arbitro le Sue decisioni?''


Come comunica l’Arbitro le Sue decisioni? Lo strumento principale è l’uso del fischietto, quindi comunica con la parola, ed infine con il corpo (gesti).

Il fischietto deve essere usato per segnalare la Sua decisione d’interrompere, temporaneamente o definitivamente il gioco. Il fischio deve essere :
1) Forte;
2) Tempestivo;
3) Opportuno;
4) Uniforme.
Forte, ma breve, in modo che sia sentito da tutti.
Tempestivo, non “immediato”. Per tempestivo s’intende dopo qualche frazione di secondo, tempo necessario, sia per portare il fischietto alla bocca, sia per valutare l’evento tecnicamente (tipo di fallo o scorrettezza commesso), sia per una eventuale concessione del “vantaggio”.
L’opportunità si inserisce nella valutazione se l’interruzione potrebbe favorire chi ha commesso l’irregolarità, penalizzando chi l’irregolarità ha subito.
Uniforme nel senso che il fischio deve avere sempre le caratteristiche su enunciate indipendentemente dalla gravità del fallo commesso. Spesso si rileva una “eccessiva” tempestività frutto di una evidente emotività o istintività priva di quella necessaria percezione razionale dell’evento al fine di una valutazione opportuna.
In verità, un osservatore attento, attraverso le modalità d’uso del fischietto individua il grado di formazione “arbitrale” dell’Arbitro osservato. Spesso, in particolare in un giovane in formazione, le modalità del fischio (forte, immediato, tempestivo, debole, ritardato) variano secondo la gravità del fatto rilevato è questo il tipico comportamento di colui che è guidato più dall’istinto che dalla razionalità. Egli non riesce a partecipare all’evento (gara) in modo distaccato quel tanto necessario per poter valutare e decidere con la necessaria serenità e razionalità necessaria. E’ evidente che man mamo che l’assimilazione del regolamento attraverso lo studio e l’esperienza che si acquisisce attraverso le necessarie riflessioni sugli eventuali errori commessi nelle prestazioni arbitrali effettuate, il processo formativo inevitabilmente continuamente migliorerà ed il tasso tecnico delle prestazioni ovviamente miglioreranno.
Quanto all’uso della parola, mi riferisco ad eventuali colloqui che l’arbitro ha con i calciatori quando attua il “richiamo” o quando colloquia con uno o entrambe i capitani delle squadre nei modi e nei tempi stabiliti dal regolamento. In queste circostanze emerge ancor più chiaramente il grado di maturità il grado di “personalità arbitrale” dell’uomo arbitro.
La compostezza di atteggiamento, l’appropriato linguaggio, offrono alla valutazione dei calciatori delle altre componenti quella “credibilità” indispensabile perchè emerga l’autorevolezza che il regolamento attribuisce all’uomo arbitro.
Da ciò ne consegue che il linguaggio del corpo (indicazione della direzione della rimessa laterale, l’attribuzione del calcio di rinvio, l‘attribuzione del calcio d’angolo, la segnatura di una rete, la segnalazione di un calcio di punizione indiretto, il mostrare il cartellino giallo o rosso) deve essere composto e deciso a testimonianza della “intima” convinzione delle decisioni segnalate. E’ indubbio che la gesticolazione a scatti è indice di eccessiva decisionalità manifestati con gesti plateali e con evidente “arroganza” di atteggiamento. Ciò dimostra di non aver capito il vero fondamento del mandato che la designazione gli conferisce, quello di partecipare ad una gara quale garante del rispetto delle regole, spesso questi atteggiamenti sono indiativi di un processo arbitrale appena agli inizi o di una errata interpretazione sia della Sua funzione che del Suo mandato. Alle volte si parla di carenza di “personalità”. Credo che non sia corretto parlare di personalità, più opportuno sarebbe “attitudine”, perchè la “personalità” è il risultato di un processo di assimilazione di principi e di coerente adattabilità all’ambiente. Sarebbe opportuno parlare di processo formativo che indica il grado di assimilazione dei principi e delle modalità del ruolo che s’intende recitare.
Il vero problema è se s’intende con convinzione recitare quel “ruolo”(arbitro).
A conferma di quanto sostenuto mi piace ricordare che “persona” rappresenta la maschera indossata dagli attori dell’antica Grecia, ruolo (l’attuale copione) quindi una persona recita un ruolo nella vita sulla base dei principi acquisti nel processo di formazione. Vi ricordo i comportamenti, nonchè la credibilità che riscuote per i terzi (nel caso cittadini) un professionista, un artigiano, un commerciante, sulla base non solo delle abilità professionali ma anche dei valori che esprime con i suoi comportamenti.
In conseguenza la “personalità arbitrale” anch’essa è frutto dell’impegno che ciascuno infonde nel Suo processo formativo attraverso li studio del regolamento e nell’acquisizione dei suoi principi.
Se ciò avviene sarà impossibile che un giovane arbitro mi dica: “ non ho recuperato 3’ perchè sarebbero stati del tutto inutili perchè una squadra vinceva 10 a 1. E’ evidente ch’Egli non ha capito qual è il Suo ruolo ed il Suo compito.


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