6^ puntata - ''Tenue Speranza'' - 2^ parte
La sala era gremita e come ogni volta Indil si sentiva soffocare. Si sistemò per l’ennesima volta il simbolo del suo ruolo perchè non le cadesse davanti agli occhi mentre parlava, spostandolo in modo da usare le orecchie a punta come fermi. L’argento era freddo, ma l’aiutava a rimanere lucida e reattiva.
Percepiva la presenza salda e rassicurante del suo unico e vero amico, e questa era l’unica motivazione che la spingeva a restare, ad avere pazienza. Non voleva deluderlo, non avrebbe resistito se avesse perso anche il suo affetto. Le restavano solo trentun anni di pace, prima dell’inizio della mutazione, e voleva con tutta se stessa trascorrerli con lui. E poi lottando per la sua gente, perchè questo forniva un senso nell’insensatezza generale. Combattere con le parole: era abbastanza brava in questo ed era il suo compito, il suo dovere primario. E sarebbe stata risoluta e coraggiosa, anche solo per contraddire il viscido Wilhelm.
Gli lanciò una occhiata: era seduto, anzi, accasciato, sul suo trono, a circa mezzo metro dall’angolo del tavolo di granito. Fumava la pipa, come suo solito, e aveva in una mano un enorme boccale periodicamente riempito fino all’orlo di birra scura che trangugiava facendola colare sulla barba rossiccia. Sembrava più vigile del solito, e questo la preoccupò: che stesse tramando qualcosa? Il nano notò lo sguardo dei suoi occhi verdi e le sorrise malignamente. Lei si morse le labbra, ingoiando una imprecazione in elfico, che avrebbe prodotto un doppio scandalo e forse qualche altra bella limitazione, sempre se ne fosse rimasta qualcuna non ancora applicata.
Certo, il nano stava tramando. L’ovvietà della situazione rendeva ancora più ipocrita la recita delle riunioni dei tre capi delle diverse razze:Wilhelm era il vero re, loro erano solo lì per presenziare al suo inevitabile dominio.
Volse lo sguardo sull’umano, Rudiger, che le mostrò un sorriso mite. Rudiger non era malvagio, anzi in lui albergava una qualche forma di benevolenza universale, la tendenza a volere il bene di tutti e quindi a non prendere mai le parti di nessuno. Non era un filantropo, ma nemmeno razzista; nessuno avrebbe mai potuto trovare un vocabolo adatto per descriverlo, qualcosa di simile a pacifico, e idealmente altruista; si mostrava sinceramente preoccupato per la sorte della sua gente ma non faceva nulla per appoggiare le sue proposte: si asteneva dalla votazione da più di tre anni.
A volte Indil si era chiesta che cosa realmente pensasse al di fuori delle censure dovute a ovvie manovre politiche del nano. Ogni volta si riprometteva di domandargli la sua opinione su temi spinosi e controversi come l’amore degli Dei oppure il valore della vita, ma il solo pensiero di parlare con l’uomo che, indirettamente ma comunque attivamente, era responsabile di metà della repressione della voglia di vivere della sua gente le faceva venire una smania di violenza sulla sua persona.
Oltre a lei e ai due Capi della Monotriade nei pressi di ogni rappresentante sostavano una decina di soldati per proteggerlo da eventuali aggressioni. Nella storia del Consiglio non era mai successo nulla di espressamente violento, gli assassinii in genere avvenivano nell’ombra di tradimenti tollerati o puniti con crudeltà e ipocrisia. L’assenza di precedenti, però, non permetteva di tollerare l’imprudenza.
Wilhelm Ath Thomak richiamò all’ordine, cosa rara in quella riunione, e il silenzio scese pesante come una cappa metallica.
- Bene …. dichiaro aperta la prima seduta dell’anno novantotto dalla stesura del Codice. Invito i due Capi miei Pari a esporre i loro progetti, le relazioni sul benessere del loro popolo e eventuali rimostranze su conseguenze negative e non intese delle decisioni prese nella precedente riunione. –
Indil sorrise, cinica. Quella era la formula ufficiale con cui venne aperta la prima riunione dopo la promulgazione delle leggi del Codice. Anche se la situazione storica era cambiata quella formula sopravviveva, immortale, cristallizzata in quella utopia di un’uguaglianza tra le tre razze. Utopia calcolata, sfruttata, svuotata: la sola struttura della stanza e del tavolo era sintomatica delle vere intenzioni dei nani e uguaglianza in quella stanza era solo una vuota parola. Così come vuoto e inutile sarebbe stato il suo tentativo . Strinse i pugni, per controllare la sua voglia di fuggire da quella situazione assurda: combattere, ancora una volta, e perdere.
- In primo luogo vi saluto, Sommo Re dei Nani e Sapiente Depositario di Virtù. – esordì l’elfa, in tono piatto e formale – Spero che gli Dei siano stati generosi con i vostri popoli così come spero lo saranno con il mio se vorranno concedermi la benevolenza di cui Voi già godete.-
Sia il nano che l’umano sorrisero. Dentro di sè, Indil provò soddisfazione e sdegno: era così facile blandire le loro menti appassionate e talmente assurdo che per il diritto ad una vita libera lei si stesse imponendo ipocrisia e menzogna in una anima che per natura avrebbe dovuto essere priva di questi mali.
- Miei signori, il mio popolo soffre. Ridotti ad una schiavitù ingiusta solo perchè abbiamo invocato protezione dal Malvagio che conosciamo, privati di ogni libertà di espressione e di culto per la prima volta stiamo provando il mal di vivere. Persino gli elfi ancora sani sentono la paura della morte, che in noi non è connaturata. Questa che offrite alla mia gente non è vita. –
Il nano sorrise bieco, come se il Capo Eletto avesse commesso un errore imperdonabile. Indil si martoriò il labbro per sfogare l’irritazione che quel viso largo e rubicondo le fomentava.
- Mia cara Layana, la tua pretesa è del tutto irrilevante. La legge non verrà cambiata di un solo articolo. –
Gli elfi si mossero, a disagio. Nessuno poteva dare del tu in una occasione formale, a nessun nano o umano era concesso usare il primo nome di un elfo, il nome legato alla posizione delle stelle alla sua nascita. La scortesia del nano portò Mark a ringhiare, sottofondo inquietante al silenzio del Capo Elfico.
20/01/2014
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