TUTELE ALLARGATE PER DANNO MORALE
La Cassazione "apre" a una nuova fattispecie di danno morale: quella che deriva dal suicidio di una persona causato anche dalla morte di un congiunto in un incidente stradale. È il significato più importante di una sentenza lunga e articolata (la 1361/2014, depositata ieri dalla Terza sezione civile), che s'inserisce nel tormentato dibattito giurisprudenziale su una materia per la quale proprio in questi mesi si sta cercando di fare quel riordino previsto fin dal 2006 e finora non attuato.

E il caso ha voluto che questa pronuncia che "allarga i cordoni" dei risarcimenti (preoccupando le assicurazioni) arrivasse nella stessa giornata in cui la Corte Ue confermava invece la legittimità di quelle restrizioni che la normativa nazionale ha già dettato, sia pure su una fattispecie diversa come quella delle lesioni lievi (si veda l'articolo a sinistra).

Il caso su cui si è pronunciata la Cassazione riguarda il risarcimento per un marito che nel 1988 aveva perso la moglie in un incidente stradale (nel quale aveva riportato gravi lesioni egli stesso) e dopo circa due anni si è suicidato. Dagli atti è risultato che il suicidio è stato conseguenza della «depressione indotta dalla perdita della moglie».

In sostanza, la Corte ha riconosciuto che il risarcimento è dovuto sia per le lesioni riportate dal marito nell'incidente sia per la sua morte successiva. Si viene così a creare una voce di danno autonoma, quella del suicidio per il timore della propria stessa morte.

I giudici argomentano questa scelta con il fatto che, dal momento dell'incidente che è all'origine di tutto, il suicida ha subìto un'intensa sofferenza, che lo ha portato alla cocente e lucida percezione dell'ineluttabile avvicinarsi della sua morte. E, di fronte a un danno di questo genere, la Cassazione ha ritenuto che il relativo risarcimento abbia una funzione compensativa, che rende il diritto a tale ristori trasmissibile anche agli eredi.

Non solo: un danno del genere è talmente grave da non rientrare in alcun parametro prestabilito (per esempio, dalle tabelle del Tribunale di Milano, in uso in gran parte d'Italia), per cui può essere valutato dal giudice esclusivamente in via equitativa.

Tutto questo contrasta con la sentenza 26972/2008 delle Sezioni unite, che aveva sostanzialmente "riunito" le voci di danno e che, peraltro, era già stata "scardinata" di recente dalla sentenza 22585 della stessa Terza sezione, sul danno esistenziale.
Di M.Cap.
Fonte: il Sole 24 Ore


28/01/2014