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UN VIAGGIO IN SICILIA – diario di bordo

UN VIAGGIO IN SICILIA – diario di bordo


a cura di Giuseppe Basciani

Partenza il 28 dicembre pomeriggio, la notte si dorme a Reggio nel parcheggio “area ludica”- lungomare, nei pressi dell’hotel Playa, (area a sosta libera sufficientemente tranquilla nei giorni non festivi).
Il mattino, dopo una salutare passeggiata sul bel lungomare di Reggio (il kilometro di spiaggia più bello d’Italia) e una foto ai piedi delle centenarie magnolie di via marina, visita ai bronzi, da un anno e mezzo coricati e nel palazzo della Regione. L’accesso è libero e non si possono scattare foto.

Prima di avvicinarmi alle statue preferisco bighellonare e visionare il filmato dimostrativo. I bronzi sono stati scoperti il 16 agosto 1972 da Stefano Mariottini (un giovane sub dilettante romano) che in immersione al largo di Riace ad 8 m di profondità vide il braccio sinistro della statua A emergere dal fondale. Il filmato mostra Stefano occhi azzurri sul mare azzurro, uomo senza futuro in quanto consapevole di aver fatto la storia. Per sollevare e recuperare i due capolavori, i Carabinieri del nucleo sommozzatori utilizzarono un pallone gonfiato con l'aria delle bombole. Lo fecero probabilmente in tutta fretta così da impedire che i bagnanti intervenissero loro, in piena autonomia e con un colpo di mano. Così il 21 agosto fu recuperata la statua B, mentre il giorno successivo toccò alla statua A. Le statue furono adagiate su canotti e tirate a riva dai bagnanti e deve essere stato sicuramente difficile portarle via almeno a giudicare dalle immagini della gente di Calabria abbracciata ai loro due totem quasi a riscattare con un atto di verità arrivato dal passato, cento e più anni di solitudine.

Mi avvicino alle statue e le parole si spengono. La statua A ha proprio il naso di mio nonno e la statua B la barba di mio padre. Il bronzo A appare più nervoso e vitale, mentre il bronzo B sembra più calmo e rilassato. Le statue trasmettono una notevole sensazione di potenza, dovuta soprattutto allo scatto delle braccia che si distanziano con vigore dal corpo.
Da dove vengono e chi sono? Guerrieri, atleti, ma a noi piace pensarli due dei sette guerrieri intenti a proteggere le sette porte di Tebe e a difendere la storia passata contro il “nuovo” che incombe (Argo, Agamennone e la guerra di Troia).

Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si erano accordati per spartirsi il potere sulla città di Tebe: avrebbero regnato un anno a testa, alternandosi sul trono. Eteocle tuttavia allo scadere del proprio anno non aveva voluto lasciare il proprio posto, sicchè Polinice, con l’appoggio del re di Argo Adrasto, aveva dichiarato guerra al proprio fratello ed alla propria patria. Eteocle pone a guardia delle sette porte della città i suoi sette guerrieri più valorosi.
La guerra dei sette guerrieri di Tebe contro i sette valorosi di Argo si conclude con la vittoria dei primi, ma gli epigoni, i figli, ristabiliranno l’equilibrio e con la vittoria di Argo, la storia potrà finalmente aver il suo corso.

Usciamo da Reggio e traghettiamo per Messina. Il viaggio in coperta è delizioso: è la brezza dello stretto!
Attraversiamo Messina e ci sistemiamo a Giardini Naxos (Eden Parking – viale Stracina, 20 - all’uscita dal casello in direzione Catania - Recanati – economico e confortevole). Recanati è ben collegata con Taormina con Bus navetta anche notturni (fino alle 22.30) e non ci facciamo sfuggire l’occasione di una passeggiata serale a Taormina.
Affascinante come sempre, ma….. portatevi dietro i panini!
Il giorno dopo (30 dicembre 2011) ci si sveglia con calma e ci avviamo verso Messina. Alle 11.30 siamo ancora in giro alla ricerca di parcheggio in un traffico caotico e senza alcuna regola che ricorda molto quello di una città araba.
Quella di chiedere aiuto e consigli in giro è un’intuizione vincente!
Il messinese oltre ad essere uno dei guidatori più anarchici d’Italia è anche molto ospitale e due ragazzi ci scortano in moto sino al parcheggio pullman adiacente il duomo. Così ci ritroviamo sotto la stupenda chiesa a dieci minuti da mezzogiorno e quindi dallo spettacolo.

Quando il leone comincia a ruggire e ad alzarsi sulle zampe posteriori vengo abbagliato dal ricordo delle appassionanti letture adolescenziali sul sogno cibernetico dei meccanismi perfetti. Il “giocatore di scacchi di Maelzel” (Edgar Allan Poe) fu la prima di una lunga serie di affascinanti letture sul sogno della meccanica, dei sistemi, il sogno dell’uomo di duplicare il mistero della creazione. Oggi ahimè siamo diventati più intelligenti, ma abbiamo smesso di guardare oltre le stelle!
Dopo è la volta del galletto, sicuramente il più amato dai messinesi e poi tutti gli altri ripiani in un emozionante susseguirsi di balletti e inchini. Oramai mi sento un bambino e ho una gran voglia di battere le mani e mettermi a ballare.

Salutiamo Messina e ci dirigiamo verso le gole di Alcantara. Arriviamo lì alle 15.00, giusto in tempo per l’ultima visita guidata.
Il fiume Alcantara scorreva placido verso il mare e la sua acqua innaffiava aranceti a migliaia e passa, ma un bel giorno l’Etna volle metterci lo zampino e inondò il suo bacino con tonnellate e tonnellate di lava. Il fiume sparì, si trasformò in goccioline di umidità, in pioggia, in brezza mattutina. Ma poi, a poco, a poco l’acqua cominciò a scavare e dopo 50 anni, che per un fiume passano come un battito d’ali, c’era già la prima traccia. Dopo millenni arrivammo noi quattro e mezzo (la cagnetta Cloe). Si scende un sentiero sterrato e scosceso tra aranci ultracarichi di frutta, cactus messicani e ogni tipo di felci. Giù lo spettacolo è stupendo! Il fiume ha scavato per svariate decine di metri la pietra vulcanica modellando merletti, pizzi e sculture lunari.

Ritorniamo al camping di Giardini Naxos in attesa dell’arrivo dei nostri compagni di viaggio, un altro equipaggio nomade e corsaro.
La mattina è la volta della baia dei ciclopi, visita insomma ai Faraglioni di Acitrezza, massi scagliati da Polifemo contro Ulisse e i suoi compagni in fuga dalla tirannia del Ciclope.

La mitologia ha ambientato su tale costa, una delle leggende più poetiche e sensuali dell'antichità, quella che racconta la vicenda passionale della bella ninfa Galatea e del suo innamorato, il pastorello Aci. Il Ciclope Polifemo anch'egli pazzamente innamorato della ninfa, schiacciò il rivale sotto un enorme macigno, ma Giove, impietosito dai pianti di Galatea, trasformò Aci in un limpido fiume che scorre e trova pace tra le braccia di Galatea, trasformata essa stessa in golfo. Così, lì nella baia di Acitrezza i due amanti continuano a tutt’oggi a fondersi in un abbraccio eterno e senza fine.
Complicato l’accesso al lungomare, preferiamo parcheggiare sulla statale e raggiungere la marina a piedi. Il tempo è nuvoloso e lo spettacolo dei faraglioni che si stagliano minacciosi lungo la costa è superbo. I bambini ne scalano un paio, noi preferiamo scattare photo!

Dopo Acitrezza ci dirigiamo sull’ETNA, destinazione Puntalazzo dove all’agriturismo “La pietra antica o’ munti” abbiamo prenotato il cenone. La strada non è delle migliori e qualche volta siamo costretti a rimettere la prima.
L’agriturismo è un vecchio palmento. Un tempo le falde dell'Etna erano distese sterminate di vigneti degradanti verso il mare. I palmenti erano strutture riservate alla pigiatura e alla conservazione del vino in enormi botti di castagno.
Al centro della sala da pranzo un enorme torchio a leva in legno di castagno.
La cena è spettacolare e non mi ricordo di aver mai mangiato tante cose buone tutte nella stessa sera. A mezzanotte lo spettacolo della piana di Taormina illuminata a giorno dai fuochi è una scena indimenticabile. Il ristoratore ci rifornisce di piccole mongolfiere che facciamo salire al cielo insieme ai nostri peccati.

Il mattino dopo visita al castagno dei cento cavalieri. Si trova nel vicino paese di Sant'Alfio e si tratta di un grande castagno millenario che la leggenda narra sia stato riparo di una regina con al seguito 100 cavalieri sorpresi da un temporale durante una battuta di caccia. Il castagno oggi è uno degli alberi più grandi al mondo con i suoi 22 metri di diametro e i 22 metri di altezza, spettacolo naturale che vive secondo i più esperti studiosi di botanica da oltre 2000 anni.
Dal vicino paese di Milo prendiamo la Mareneve che sale veloce sul versante nord-est del vulcano, destinazione Piano Provenzana. In vetta non arriveremo mai in quanto gli ultimi chilometri erano ghiacciati al punto da richiedere l’uso di catene e un incidente tra un camper (con catene) e due autovetture (senza), aveva bloccato la strada. Dopo una faticosa inversione e una sosta per far scorazzare i bambini ci rimettiamo in marcia, direzione Agrigento.
Sostiamo per la notte a Pergusa: il lago e l’autodromo sembrano troppo isolati e preferiamo dormire in piazza, tra la cattedrale e la caserma dei carabinieri (sosta tranquilla fino alle sette di mattina, quando cominciano i rintocchi della campana).
Ripartiamo con calma. La via per Agrigento è piena di interruzioni e deviazioni e arriviamo alla valle dei templi ad ora di pranzo.
Il parcheggio è sterrato, ma si paga una cifra irrisoria. L’ingresso è economico: c’è la riduzione insegnanti e l’ingresso gratuito per i minorenni: con 10 euro entriamo in 4 e mezzo. Il tempio di Giunone è subito all’ingresso. Esposto come tutti gli altri ad est così da sfruttare al massimo la luce solare, era il tempio dei matrimoni e dei sacrifici. Ebbe vita breve visto che fu incendiato dai Cartaginesi nel 406 a.C.
Ci incamminiamo lungo il viale e costeggiamo le mura puniche costellate da nicchie, forse tombali. In lontananza cominciamo a vedere il tempio della Concordia. Intatta la struttura, si tratta del più completo e meglio conservato esempio di arte dorica al mondo. Chiudo gli occhi e comincio a sentire il profumo del Peloponneso: menta, alloro, mirto. Mi avvicino e l’emozione cresce e vedo il passato, la strada già fatta e quella che ancora ci attende, e l’uomo è sempre lì, con la sua forza, con la sua tenacia, con il suo inguaribile desiderio di non accettarsi e di voler esser sempre più simile a Dio. Sono ormai di fronte al tempio e una certezza solare si irradia nel mio corpo. “…quanto fatto!....” mi vien voglia di gridare e subito mi salgono le lacrime agli occhi. Corro a nascondermi!

Al tempio di Ercole ci sediamo sul prato per riprendere un po’ il fiato e ci divertiamo a scoprire le colonne originali. Delle otto colonne oggi in piedi, 5 furono rimesse in piedi nel 1922 dal capitano Alexander Hardcastle e i suoi uomini, ricostruite come un puzzle, rimettendo insieme i cocci sparsi sul terreno.
Concludiamo in bellezza con il tempio di Giove del quale ci è rimasto ben poco. Era grande quanto un campo di calcio e ora non ci rimane più nulla.
Costruito per festeggiare quella vittoria sui Cartaginesi (480-479 a.C.) che segna l’apice della civiltà di Akragas. Costruito dagli schiavi di guerra.
Ed è proprio in tale fantastico nulla che ritroviamo l’artefice, lui, l’uomo del sud, il telamone. Disteso per terra è lui il cartaginese, schiavo di guerra attore di un’arte collettiva che ha cambiato il volto della terra per millenni e millenni, “lugubre e riverso sull’erba…..e odoroso di muschio” (“Il canto delle sirene” di Quasimodo).

I bambini reclamano e ripercorriamo velocemente la strada fatta per ritornare al parcheggio. E’ giusto il tramonto e i templi si stagliano tutti in perfetto allineamento con il sol calante. Lo spettacolo ci infonde un senso di completo appagamento.
In biglietteria una comitiva di inglesi che entra per pochi euro ad assistere ad uno spettacolo che in Inghilterra sarebbe stato sicuramente trasformato in una intrapresa turistica con centinaia di dipendenti e fatturati di milioni di sterline.

Tutti in camper, attraversiamo Agrigento in direzione Porto Empedocle destinazione area sosta camper Zanzibar Lido Rossello Realmonte. Si tratta di un’area di sosta tipicamente estiva in quanto adiacente al mare, in inverno aperta solo in parte e gestita da un ragazzo modenese appassionato di pesca. Economica e molto comoda per le operazioni di carico e scarico.

Il mattino dopo partenza alla buon’ora per visitare la vicinissima “scala dei turchi”. Si tratta di una scogliera naturale bianca e molle quanto il dash. Forse la presenza di diverse fonti umidificanti impedisce a tale strana mistura di argilla e malta di solidificarsi. Il risultato è una scogliera-capolavoro che a breve sarà dichiarata patrimonio dell’umanità col che forse cominceranno almeno a tutelarla e a pretendere un biglietto d’ingresso. Matura a questo punto la ferma convinzione che se solo la Sicilia riuscisse a sfruttare tutte le sue enormi ricchezze artistiche, potrebbe forse diventare più ricca della Lombardia. Altro che Termini Imerese!

Ripartiamo diretti ad Aragona per vedere i suoi Vulcanelli.
Dopo aver parcheggiato i camper ci aspetta un percorso a piedi di 5-600 metri in cui si affonda nel fango sino al polpaccio. Per i bambini è un gran divertimento, per me che sono l’addetto alla pulizia delle scarpe, un po’ meno.

I vulcanelli sono niente meno che pozze di acqua con al centro un gorgoglio di gas naturale! Baah! L’importante è che i bambini si sian divertiti! Peccato per le scarpe!
La sera passeggiata ad Agrigento! Ci aspettavamo forse qualcosina in più anche considerato il fatto che ai camper ci aspetta una bella sorpresa! Ci hanno addirittura rubato due biciclette!
Per la notte ritorniamo a Zanzibar. Il gestore è fuori di sè dalla rabbia: non ha pescato nulla perchè, con la mareggiata, l’acqua del suo fiume era torbida.

Il giorno dopo (4 gennaio), dopo una defatigante pulitura di scarpe, si parte alla volta di Palermo. Arrivo nel tardo pomeriggio all’area sosta Green Park di via Quarto dei Mille. E’, in pratica, un garage ricavato nel grande atrio tra due palazzi. Squallido e costoso, ma si arriva in cattedrale a piedi!
La sera passeggiata a piedi fino a piazza della vergogna con cena on the road a base di arancini, panini alla milza e pianelle.
Lungo la strada ammiriamo Il Palazzo dei Normanni, sede del parlamento siciliano, la stupenda cattedrale, la piazza dei quattro cantoni (raffigurante le quattro stagioni, le quattro sante patrone del capoluogo (santa Ninfa, sant'Oliva, sant'Agata e santa Cristina) e i quattro re spagnoli di Palermo) e, infine, piazza Pretoria, conosciuta anche come "Piazza della Vergogna" con riferimento alla nudità dei soggetti immortalati dalle sculture della fontana. Qui ci sediamo a riposarci un po’ e con i bambini si gioca a “ti faccio una photo se fai una faccia di …… vergogna!”.
Fondata dai Fenici intorno al 700 a.C. con il nome Zyz, Palermo è la città delle commistioni e contaminazioni artistico-architettoniche: possiede un patrimonio artistico ed architettonico che spazia dai resti delle mura puniche per giungere a ville in stile liberty, passando dalle residenze in stile arabo-normanno, alle chiese barocche ed ai teatri neoclassici. Ci insegna che la tolleranza è stata da secoli categoria distintiva del sud del mondo e che non c’e democrazia senza tolleranza . Questo si che è un bello spunto di riflessione! Ecco: se fossi un politico partirei proprio di qui!
Ad ogni buon conto la cattedrale è il più completo esempio di tale contaminazione di arti e stili: dai campanili in stile gotico si passa alla facciata quattrocentesca con decorazioni arabo-normanne e numerosi elementi tardo barocchi, pur rimanendo sullo sfondo una concezione estetica di tipo moschea.
La pioggia ci costringe a rientrare in tutta fretta.
Il giorno dopo ripartiamo dal palazzo normanno, cappella palatina.

La prima impressione che ti assale entrando nella cappella è il referente silenzio, una sorta di timore reverenziale verso i mosaici dorati, le colonne di marmo, l’abside sfavillante, le volte mozzafiato. La seconda immagine è per il telamone per l’ignoto artigiano, schiavo di guerra, artefice di questo paradiso in terra. Stiamo parlando di un’opera non firmata, un’opera collettiva come le piramidi e la muraglia cinese, l’opera di un popolo.
E’ solo con il Rinascimento che nasce la creazione strettamente personale, nasce l’artista di professione, si afferma quella firma che oggi ci esaspera in quanto minacciosamente estesa a piastrelle, borse o anche occhiali o quant’altro.
All’uscita cediamo alle insistenze di due ragazzi e accettiamo di fare un giro guidato in apecar.
La prima meta è la Chiesa del Gesù. Situata nel quartiere dell'Albergheria è un gioiello barocco, completamente rivestita da bassorilievi marmorei.
Dopo un giro nel quartiere di Ballarò e una passata nelle stradine degli artigiani dei metalli (che ricordano molto i suk marocchini, in particolare quello di Marrakech) entriamo nella Vucciria.

Pranzo a base di pianelle sulla marina mentre una Costa molto simile alla defunta Concordia ci sfila davanti agli occhi.
Dopo pranzo visita agli spettacolari ficus di villa Garibaldi.
Il giro in apecar si conclude al Teatro Massimo col che non resta che lo shopping per le vie del centro.
Il giorno dopo visto che le previsioni metereologi sono pessime preferiamo ripartire, diretti a casa. Lasciamo la Sicilia con un unico rammarico: abbiamo visto cose bellissime che ricorderemo a lungo e abbiamo conosciuto una parte sicuramente minima di tale stupenda regione italiana, ma altrettanto non possiamo dire dei siciliani, sempre pronti a nascondersi, a sparire a rifiutarsi, forse impauriti, forse stanchi di crederci, forse disillusi, ma sempre e in ogni caso sfuggenti.

Baci & Abbracci
(Diario di Bordo) Giuseppe


28/03/2012


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