Sul lusso gravano IMU e IRPEF
Il reddito delle abitazioni vuote, se nel Comune della principale, concorre a formare quello complessivo nella misura del 50%
Il nuovo pilastro della tassazione sugli immobili si chiama Iuc (Imposta unica comunale) ma è un cappello solo formale, perchè raggruppa tre pagamenti – Imu, Tasi (servizi locali indivisibili) e Tari (rifiuti) – che restano separati.
Sulle case di lusso l'Imu continua a gravare anche quando si tratta di abitazioni principali. E riguarda gli immobili classificati A/1 (abitazioni signorili), A/8 (ville) e A/9 (castelli e palazzi storici): il riferimento è dunque alla categoria catastale e non alla definizione di «casa di lusso» contenuta nel Dm del 1969 (complessa casistica basata su dimensioni e caratteristiche delle abitazioni). Se i proprietari risiedono e dimorano in case di tali categorie pagano quindi l'aliquota standard del 4 per mille, che i Comuni possono far scendere o salire di due punti (da un minimo del 2 a un massimo del 6 per mille) e che si accompagna alla detrazione di 200 euro.
Queste case di lusso restano fuori anche dall'esonero dell'Imu previsto per gli immobili assimilati all'abitazione principale, come quelli dati in comodato a parenti in linea retta entro il primo grado. Per le abitazioni diverse dalla principale, l'Imu non guarda alla condizione di "lusso": l'aliquota è al 7,6 per mille e può essere variata di tre punti, cioè fino al tetto del 10,6 per mille (di fatto scelto da 9 Comuni su 10). Mentre per i fabbricati di interesse storico, la base imponibile Imu (rendita catastale rivalutata del 5% e moltiplicata per 160) va dimezzata, anche per le case principali.
Sulle seconde case sfitte, situate nello stesso Comune di quella principale, si tornano a pagare anche Irpef e relative addizionali nella misura del 50%: il reddito di questi immobili partecipa cioè al reddito complessivo dei proprietari per la metà del suo ammontare.
C'è poi la Tasi, il nuovo tributo sui servizi indivisibili che sostituisce la maggiorazione della Tares da 30 centesimi al metro quadro. La Tasi si applica alla stessa base imponibile dell'Imu (come fosse un'addizionale) e vede un'aliquota di base dell'1 per mille che può salire nel 2014 fino a un massimo del 2,5, secondo le scelte dei Comuni (dal 2015, potrà arrivare fino al 6 per mille). La somma di Imu e Tasi non può superare il tetto dell'aliquota massima consentita (6 per mille prima casa di lusso; 10,6 per mille altre abitazioni).
Quindi dove l'Imu è già all'estremo la Tasi non può più essere introdotta. Un correttivo preparato dal governo Letta – non caricato però su alcun decreto – prevede di aumentare l'aliquota Tasi dello 0,8 per mille, così da consentire ai Comuni di portare al 3,3 per mille il tributo sull'abitazione principale e all'11,4 per mille la somma di Imu e Tasi sugli altri immobili. Resta da vedere quale sarà la scelta dell'esecutivo Renzi.
Intanto, si continua a discutere della riforma del Catasto, che condurrà in alcun anni all'introduzione di nuove basi imponibili, più ampie, con l'aggiornamento di valori patrimoniali e rendite (sulla base dei valori di mercato). Gli interrogativi riguardano la prevista invarianza di gettito delle singole imposte, che sono influenzate da queste stime.
Di Dario Aquaro
Fonte: il Sole 24 Ore
21/03/2014
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