''I porti di Puglia dal V al X secolo: Dall’antichità al Medioevo'' - 3^ parte
Durante la guerra ¬gotica Otranto venne assediata nel giugno del 544 da truppe inviate da Totila e Belisario fu costretto ad inviane da Sa¬lona Valentino per liberare Otranto. Nel 546 Totila occupô la Lucania ed altre parti dell’Italia meridionale, ma non riuscì a conquistare Otranto, in cui si rifugiò Giovanni. Quanto alle strutture del porto non si ha notizia di lavori fatti in età altomedievale. Nel 1888, come risulta dalle ricognizioni fatte dal De Giorgi , l’imboccatura era molto ridotta dalle secche e dalla Punta S. Nicola si pretendeva un molo molto simile a quello di S. Cataldo. Era cioè costituito da grandi massi squadrati di carparo e da un nucleo interno di calcestruzzo. I fondali in quell’epoca ri¬sultavano insabbiati e le navi dovevano ancorarsi almeno a 200 m dalla Costa. Nel 601 Otranto era sede di diocesi . Nell’VIII secolo fu occupata dai Longobardi di Benevento. Net 758 fu ripresa dai Bizantini e divenne nel secolo IX centro del governo bizantino prima della occupazione di Bari . Nell’845 fu distrutta dai Sara¬ceni. Alla fine del IX secolo entrò a far parte del Tema di Longobardia che venne costituito dallo province di terra di Bari e di terra d’Otranto.
Il porto di Ugento, ricordato dalle fonti antiche col nome di Uzentum e nei portolani medievali come «Porto de San Jovanne de Augento», ha subito dall’età antica ad oggi varie trasformazioni morfologiche, ricostruibili molto bene sulla fotografia aerea. La linea di spiaggia bassa e sabbiosa davanti alla quale si è formata una lunga e stretta laguna, ora bonificata, nelle vecchie carte era chiamata Palude Bianca. Il tratto di spiaggia che la delimita (compreso fra Torre S. Giovanni e Torre I Pali) è fronteggiato da una platea di secche che si avanza verso il largo di circa due miglia, terminando a sud con due grossi scogli affioranti. (Giu¬menta e Cavallo) che, ne costituiscono il vertice. L’attuale scalo è situato a sud – est della Torre S. Giovanni. Da que¬sta, circa 300 m a sud-est, ha inizio una scogliera lunga 1200 m e parallela alla riva dalla quale dista in media 200 m. Nel canale, tra la scogliera e la costa, riparano di solito le barche da pesca quando soffia il vento di tra¬versia. Il porto antico ed altomedievale si può collocare nello stesso canale. Recenti scavi compiuti nel 1975 dall’Istituto di Archeologia dell’Università di Lecce hanno identificato le strutture (muri del IV sec. a.C.) costruite a difesa del bacino portuale. Sono stati rin¬venuti reperti relativi ad una frequentazione del porto, databile al VII secolo d.C., cioè in un momento in cui l’interesse bizantino per l’Occidente e per il Salento subiva un netto rilancio ad opera della spedizione di Costante II. Ai piedi della torre aragonese di Torre S. Giovanni è stato scavato un esteso scarico di rifiuti antichi, con molta ceramica del VII sec. d. C., frammenti di anfore commerciali (con tutta probabilità prodotte in Asia Minore ed utilizzate per i rifornimenti alle truppe), brocchette a tornio lento con decorazioni ondulate a pettine, elementi di cintura in bronzo, frammenti di vasi in pietra ollare, sinora poco testimoniati nell’Italia Meridionale, ma, al contrario, molto abbondanti in scavi altomedievali fatti nell’Italia Settentrionale, come ad esempio a Luni. La presenza di naviglio bizantino è inoltre attestata dai re¬litti identificati nelle secche di Ugento, in cui sono state rinvenute anfore commerciali bizantine, delle quali al¬cune presentano graffito: MIXAIAI EYETAOIOY. Dopo il porto di Ugento l’ultimo scalo del Mar Jonio era quello di S. Maria di Leuca, in cui – secondo Po¬libio (X, 1) – le navi greche provenienti da Carcyra erano solite sostare. Lo scalo antico si può situare tra Punta Ristola e Punta Meliso. Essi, ancora oggi, è assai fre¬quentate dalle navi che a causa dei forti venti settentrio¬nali non riescono ad avanzare nel canale d’Otranto. Le scalo è ricordato da Idrisi, dal Compasso e da tutte le carte nautiche medievali. Lo iscrizioni dedicatorie incise sulle pareti della grotta Porcinaia documentano la frequentazione da parte di equipaggi di navi provenienti dai cen¬tri dell’Asia Minore e della costa dalmata.
I resti del porto di Lecce (Lupiae) giacciono ad est della piccola sporgenza di S. Cataldo (circa 12 km ad ovest di Lecce). Costruito, secondo Pausania da ¬Adriano, continuò ad essere utilizzato in età altomedie¬vale. Del porto si conservano quattro frammenti di co¬lonne al museo di Lecce e notevoli resti a S. Cataldo. Le strutture del porto, rilevate per la prima volta dal Gen. Guidi nel luglio del 1972, consistono in un molo rettilineo che si protende dal promontorio verso scirocco e quindi offre protezione contro i venti del I e del IV quadrante. Come risulta dalla pianta i resti del molo sono interrotti sul promontorio da un strada moderna e possono suddividersi:
1) in resti del molo largo 15,50 m e lungo 52 m circa sul lato nord – est e 44,60 m sul lato sud – est;
2) in resti di un nuovo molo costituito da un muraglione largo 2 m alla base, lungo 24,40 m ed alto 2,45 m.
Da notare che nei fondali antistanti il porto si notano sommersi lungo il prolungamento del molo vecchio enormi massi ben squadrati sino a profondità superiore ai 5 metri ed a una distanza valutabile ad oltre 150 m . I resti del molo nuovo dopo il promontorio proseguono affiancati a quelli antichi per circa 100 m e poi piegano verso li¬beccio formando all’estremità, che è ancora intatta, una rientranza. Questi resti appartengono al molo fatto rico¬struire nel secolo XIV da Maria D’Enghien, contessa di Lecce . In quel periodo al porto approdavano le navi mercantili di Venezia, la quale manteneva con Lecce un commercio di prodotti agrari ed industriali. Da rilevare infine che i fondali del porto sono ricchi di relitti di anfore e non mancano frammenti di ceramica altomedievale.
Durante la guerra gotica Procopio dice che nel 546 la città di Brindisi era sprovvista di mura e che i Goti vennero sconfitti da Giovanni. Dice poi che, nel giugno del 547, Vere, non volendo rimanere ad Otranto con i suoi trecento Eruli, si accampò a Brindisi e corse il rischio di essere catturato da Totila se non fossero approdate a Brin¬disi le navi di Varage con i suoi ottocento uomini. In età longobarda Brindisi venne occupata (671-87), assieme a Taranto, dal duca Romualdo. Nel’836 venne presa dai Saraceni , ma poi fu molto danneggiata nelle lotte tra i Saraceni ed i Longo¬bardi che intendevano riprendere la costa. Infine tra i due contendenti s’inserì l’imperatore Lodovico II nell’868 distrusse completamente la città. Venne pei riedificata nella seconda metà del IX secolo e rafforzata al tempo degli imperatori Basilio II e Costantino VIII (976-1025), come ricordato da una iscrizione. In quell’epoca venne anche migliorato il porto in cui venne edificato un tarsianatus, che fu completato in età angioina. Il porto fu molto attivo in età bizantina per franchigie concesse ai Veneziani, come attestato dal crisoballio del 991 di Ba¬silio e di Costantino, e poichè frequentato da mercanti fiorentini, pisani, amalfitani, genovesi, ecc., che qui avevano quartieri, banche, logge e fondachi. Nell’isola di S. Andrea, situata all’ingresso del porto esterno, sorse in età altomedievale un cenobio basiliano che nel secolo XI venne abbandonato a causa delle incursioni saracene e successivamente rioccupato dai benedettini che ricostruirono la nuova sede monastica intorno al 1059. Ma anche que¬ste monastero dovette essere abbandonato e l’isola di¬venne sede nel 1410 di un «Castel1o di mare», ulteriormente rafforzato nel 1445 sotto Alfonso I di Aragona .
Il porto di Egnatia era costituito da una serie di an¬coraggi, costituiti da cale naturali, opportunamente inta¬gliate e munite di bitte. Esso è protetto da due moli convergenti di cui rimangono subaerei soltanto i punti in cui i moli sono ra¬dicati alla riva. Il bacino, racchiuso da moli sommersi, si aggira intorno ai mq. 16.000 ed era situato a nord della penisola dell’acropoli che vi degradava dolcemente. I due moli di protezione erano fatti in modo che quello di sinistra sopravanzasse all’imboccatura quello di destra, in modo da poter meglio riparare la bocca dai venti dominanti che sono tramontana e grecale. Il molo di sinistra era lungo m 140, e largo in media m 9; l’unico tratto che emerge sul mare è alto cm 40. Esso era discontinuo ed all’estre¬mità terminava con due piloni trapezoidali. Del molo di destra, largo m 60 circa rimangono i blocchi in calce¬struzzo relativi alle estremità. La bocca era larga m 40 e profonda m 6. A terra, sul lato ovest dell’acropoli, il porto era completato da un bacino di carenaggio, da una darsena e da un canale dissabbiante.
In base ai rilievi subacquei fatti dal Vlona è state possibile calcolare che il livello del mare è salito di circa m 3,50, di cui un metro è da attribuire ad un fenomeno bradisismico o di altro genere, strettamente locale. Que¬ste fenomeno ha portato alla sommersione di 19 tombe distribuite lungo la scarpata (tipi a pozzo o rettangolari di cui alcune ancora chiuse). Nella zona in cui sorgeva il molo di levante sono stati rinvenuti frammenti di colonne marmoree, che probabilmente dovevano costituire il colonnato eretto sul molo. Alcuni studiosi attribuiscono il tramonto della città al maremoto che nel 455 – 456 si ab¬battè rovinosamente su tutti i centri costieri della Pu¬glia . In base ai dati degli scavi compiuti dalla Lattanzi nel 1976 113 sembra che la nuova basilica di Egnatia sorta nel corso del secolo V, sia rimasta in uso fine agli inizi del VI secolo, ossia almeno fine all’epoca dell’episcopato di Rufentinus Egnatinus. La presenza di uno strato di bruciato, piuttosto consistente, sul mosaico pavimentale documenta la distruzione violenta del monumento, forse avvenuta, durante le incursioni di Totila nel 545 d.C. Tuttavia la vita non si spense poichè F. Biancofiore ha recentemente accertato che in età bizantina ed altome¬dievale la vita si era concentrata sull’antica acropoli dove sono stati rinvenuti anche frammenti di ceramica inve¬triata «araba e bizantina». Quanto all’attività del porto la presenza di ceramica sigillata chiara e di sigillata orientale del VI e VII secolo d.C., di frammenti di anfore com¬merciali, che trasportavano prodotti agricoli di Byzacena, dimostrerebbe secondo F. D’Andria , una sua più ri¬stretta attività commerciale con aree lontane, ma solo l’esatta percentuale dei pezzi ritrovati potrebbe farci con¬trollare in che misura la città fosse inserita in una fre¬quenza di contatti con l’area orientale del Mediterraneo piuttosto che con le città africane. In conclusione sembra che il trasferimento della diocesi a Monopoli avvenuto verso la metà del VI secolo d.C. non coincida con l’abban¬dono della città come finora supposto.
25/03/2014
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