Diceva la nonna...
A dicembre il British Medical Journal ha pubblicato uno studio che sembra dare ragione alla nonna quando diceva che “una mela al giorno toglie il medico di torno”.
Per combattere le malattie cardiovascolari, secondo la ricerca della University of Oxford, il consumo regolare di mele sarebbe efficace quanto l’uso delle statine, farmaci ampiamente
prescritti per ridurre i livelli di colesterolo, prevenire danni da aterosclerosi e contenere i rischi per chi ha subito un ictus o un infarto.
Non solo: il consumo di mele non porterebbe gli effetti collaterali delle statine (diabete, miopatie).
Eppure, per le tabelle di composizione degli alimenti dell’Inran i contenuti nutrizionali “ufficiali” di una mela sono davvero scarsi: su 100 grammi di parte edibile 87,6 sono d’acqua, poi ci sono 10 grammi di zuccheri e 1,7 di fibre (e siamo già a 99,3 grammi su cento).
Poi ci sono 105 mg di potassio, 8 mg di vitamina C, 5 mg di calcio, 0,2 mg di ferro, e vaghe tracce di altre sostanze.
Secondo la normativa europea sulle dichiarazioni nutrizionali e sulla salute, per la nostra mela non possiamo vantare proprio nessuna caratteristica positiva: cento grammi apportano solo il 10% del fabbisogno giornaliero di vitamina C (troppo poco per poterlo citare), il 5.25% del fabbisogno di potassio, un risibile 1.24% del ferro e un inesistente 0.62% del calcio. “Ad alto contenuto di fibre” o “fonte di fibre”? Nemmeno a parlarne.
Ma se, in sostanza, è composta soltanto di acqua e zucchero, perchè l’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di mangiare almeno 400 grammi di frutta e verdura al giorno per ridurre i rischi di malattie gravi?
Perchè l’Unione europea ne promuove il consumo tra i bambini, anche con il programma “Frutta nelle scuole”?
Perchè per le Linee guida per una sana alimentazione italiana frutta e verdura proteggono da malattie cardiovascolari, neoplastiche, respiratorie, da cataratta e stipsi, assicurano un rilevante apporto di carboidrati complessi, nutrienti e sostanze protettive antiossidanti?
Se son solo acqua e zucchero, qualcosa non torna.
A meno che non si ammetta che la scienza ha davvero ancora molta strada da fare.
Oltre che zuccheri, grassi, proteine, vitamine e i macroelementi puntigliosamente e un po’ ottusamente elencati nelle norme comunitarie, non è che si dovrebbe indagare su micro e, oligo-elementi, antiossidanti ed enzimi, su quel “qualcosa di più” a cui, evidentemente, si devono gli effetti benefici?
Perchè non partono grandi progetti di ricerca pubblica sulla (micro) composizione dell’ortofrutta?
Per non rovinare il mercato degli integratori alimentari?
03/04/2014
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