LE PAROLE “BUONE” PER RITROVARE SPONTANEITÀ E CONSAPEVOLEZZA - 6^ parte
Regole per una comunicazione consapevole
Abbassare le resistenze
Non sempre parlare con qualcuno significa essere disposti alla comunicazione e all’ascolto. Al contrario, spesso parliamo soltanto per chiuderci, per difenderci; usiamo il dialogo come schermo, anzichè come strumento di scambio. In una parola: resistiamo alla comunicazione. A volte lo facciamo per non entrare in rapporto con l’altro che ci sta di fronte. A volte per non entrare in rapporto con l’altro che è in noi: ciò che di noi non conosciamo, le parti più oscure e nascoste, dimenticate… quelle che ci piacciono meno e che, al contrario, ci piacciono troppo e per questo temiamo di esternare.
In tutti questi casi, noi crediamo di comunicare e di ascoltare, ma ciò che diciamo è totalmente filtrato: a parlare sono le nostre opinioni, frutto di condizionamenti, come l’educazione, l’ambiente, la cultura, le religioni, e così via. Allo stesso modo, sentiamo solo ciò che si adatta al nostro scopo. Quindi, in una parola, noi non facciamo altro che “reagire”. Il gioco della reazione ci assorbe totalmente e si esaurisce.
Resistere è reagire, e noi siamo stati educati a reagire a tutto: misuriamo, compariamo, valutiamo, giudichiamo dall’alto della fortezza che dobbiamo difendere. La fortezza di carta che si fonda sulla certezza di essere sempre identici a noi stessi, al nostro modello che si modula sul “già detto”, “già stato”, “già sentito”. Di fatto, un mondo legato al passato che noi ci sforziamo di mantenere artificialmente in vita.
LA REGOLA. Resistiamo alla comunicazione quando ci fissiamo sull’immagine di noi in cui ci piace (o in cui sentiamo di “dovere”) identificarci. Ecco allora che affiorano frasi del tipo: “È una questione di carattere…” oppure “Sono sempre stato così, non posso più cambiare!”. Non è vero che siamo e saremmo sempre ciò che siamo stati. Rimanere identici a se stessi significa “morire”: la vita cambia, scorre, è in perenne movimento. Così, più siamo schiavi dell’opinione che abbiamo di noi stessi, più ci barrichiamo in qualcosa di morto. E la qualità di ciò che diciamo e della nostra capacità di ascolto scade, perchè non c’è spazio per il nuovo.
LE FRASI CHE CI AIUTANO. In questo caso, mettiamo in evidenza frasi (in realtà si tratta di formule vuote, senza nessun contenuto di comunicazione) che dovremmo cercare di eliminare dal nostro linguaggio. Per esempio: “Per me è una questione di principio”, oppure “Ne sono convinto da sempre”: sono le affermazioni di chi resta saldamente ancorato al proprio passato e alle proprie certezze e non intende aprirsi al nuovo.
“Questo non te lo permetto!”, “Scusa ma che c’entra?”, “No, io intendevo…”. Sono le interruzioni tipiche di chi non sa affrontare argomenti che appaiono nuovi o “pericolosi”, e agiscono da corazze per proteggersi a priori. Anche fare tante, troppe domande è un modo per alzare una barriera. Per lo più si tratta di domande scaturite non da un reale interessamento, bensì semplici artifici per rimanere in superficie. Anche in questo caso, a entrare in contatto non sono le realtà reciproche, ma solo le reciproche resistenze, e non si realizza alcun tipo di scmbio.
COME FARE. Come si fa a capire quando stiamo iniziando a essere meno “corazzati”? Quando, mentre parliamo, cominciamo a dire più spesso “sì”.
In fondo è semplice: ogni volta che opponiamo una resistenza diciamo “no”, e il “no” è come il motorino d’avviamento della mente e dei suoi processi tortuosi. Del resto, chi si difende non evolve mai.
Come esercizio, proviamo qualche volta di più a dire “sì” anzichè “no”. La cedevolezza non è una sconfitta, ma la porta d’accesso al silenzio, quindi alla vera comunicazione. “Dico sì e non c’è più nulla da difendere, mi arrendo”. È in quel vuoto di pensiero che la mente si placa e ci affaciamo al mondo.
Di Vittorio Caprioglio
02/05/2014
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