Liberi di coltivare biologico
“È molto potente la verde forza vitale che genera le piante, ma noi vediamo solo una debole ombra,
molto più potente è ciò che non si riesce a vedere.”
Gino Girolomoni
Questa è l’occasione per comunicarvi una buona notizia. Esprimiamo sincero apprezzamento
di fronte alla sentenza del Tar del Lazio (di cui vi abbiamo dato annuncio nell’ultimo editoriale, ma senza conoscerne ancora il dispositivo), poi confermata dal Consiglio di Stato con il pronunciamento del 12 giugno 2014, in attesa della decisione definitiva, prevista per dicembre di quest’anno. Quindi il ricorso presentato da un agricoltore friulano contro il decreto interministeriale che nel luglio 2013 ha introdotto il divieto per 18 mesi di semina e raccolta di mais MON810 non è stato accolto. Ha trionfato la ragionevolezza, a favore del diritto dei cittadini di scegliere il proprio cibo e di quello degli agricoltori di coltivare senza l’incubo della contaminazione OGM. Una garanzia in più per la biodiversità, per la forte identità della filiera agricola italiana e per il mondo del bio. Ma non per questo dobbiamo abbassare la guardia!
Nel frattempo ci è capitato tra le mani un nuovo studio delle università del Minnesota e di quella canadese McGill pubblicato su Nature, una delle più note riviste scientifiche. Questo studio ha preso in considerazione diversi aspetti del metodo di agricoltura biologico confrontandolo con quello tradizionale.
I ricercatori scrivono che “la fame nel mondo è causata dalla povertà e disuguaglianza e non dalla scarsità di produzione” e rilevano che la percentuale di produzione mondiale di alimenti destinati all’alimentazione umana, negli ultimi vent’anni, è aumentata in modo più veloce rispetto alla crescita della popolazione.
In sostanza, sostengono, oggi abbiamo già abbastanza cibo per sfamare i dieci miliardi di abitanti del nostro pianeta previsti nel 2050. Il problema è che in questa cifra è compreso anche chi, non essendo retribuito in modo equo per il suo lavoro, non ha i mezzi per acquistare alimenti. Stringi stringi, la domanda è: perchè raddoppiare la produzione agricola se poi gran parte dell’umanità non ha i soldi per acquistarla?
Questo sistema economico, poi, vuole spingere coltivazioni destinate ai biocarburanti o ad alimenti per allevamenti intensivi, necessari per soddisfare i bisogni dei paesi industrializzati. Lo studio delle due università trae anche queste considerazioni: le rese quantitativamente superiori dell’agricoltura convenzionale rispetto a quella biologica non sono sufficienti a giustificarne il predominio.
Leggendolo, appare chiaro che utilizzando OGM e altri metodi agricoli aggressivi, che considerano la terra solo come una “fabbrica” di cibo, una catena di montaggio vegetale e animale e non come un organismo vivente , non si può pensare di risolvere il problema della fame nel mondo, smentendo ancora una volta quello che per anni è stato lo slogan preferito dai sostenitori degli OGM. Nel mondo si muore di fame perchè molta, troppa gente è in una situazione di emarginazione sociale e politica, perchè è discriminata e impotente.
Le quattro coltivazioni OGM più diffuse nel mondo (anche nei Paesi in via di sviluppo) e cioè la colza usata per il biodiesel, il mais e la soia (per i mangimi degli animali d’allevamento) e il cotone per i tessuti, non servono certo a sfamare la parte del mondo che non ha accesso al cibo. A quest’ultima servono nuove politiche agricole e non sementi OGM, utili per generare piante capaci di resistere a dosi sempre maggiori di sostanze chimiche di sintesi, vendute dalle stesse industrie sementiere che hanno brevettato i semi, impedendo di riprodurli in proprio e costringendo a riacquistarli ogni anno. Anche per questo motivo, noi non riteniamo gli Ogm una soluzione per
il futuro del nostro pianeta e dell’uomo.
Lo staff di Cuorebio
18/07/2014
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