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I porti di Puglia dal XVI al XVIII secolo: Il periodo austriaco

I porti di Puglia dal XVI al XVIII secolo: Il periodo austriaco



Nel periodo austriaco dell’imperatore Carlo VI, durato dal 1707 al 1734, quando i vicerè che si susseguirono come una valanga in soli 27 anni, non fecero niente per alleviare le condizioni create dai vicerè spagnoli, i Pugliesi attesero con lena a preparare altri destini, e propriamente sul mare. Non avevano certamente una meta chiara, ma sentivano che tempi migliori dovevano spuntare, e fu così che in operoso silenzio costruirono in tutti i porti pugliesi adriatici piccole navi nuove. Erano navi di piccola stazza, ma c’erano. Con le loro povere forze riattarono un poco per volta i porti malandati. Forse avevano un felice presentimento, che un bel giorno dovesse giungere un po’ di nuovo sole, il cui calore portasse nuove energie, nuovi miraggi e illuminasse nuove strade sui mari, o meglio illuminasse le vecchie gloriose strade marittime per una ripresa, dopo tanti malanni e dopo tante disgrazie .
Se l’eredità spagnola fu solo in minima parte modifi¬cata nelle tre province storiche di Capitanata, Terra di Bari e Tetra d’Otranto, qualcosa di nuovo tuttavia andò delineandosi nel corso del primo trentennio del secolo XVIII. Soprattutto l’inserimento del Mezzogiorno in una politica di traffici e di commerci mediterranei, alla quale spingeva l’Austria nel quadro dei suoi interessi in¬ternazionali, ridiede vitalità ad un organismo depresso e spianò la strada a sviluppi ulteriori. Del nuovo corso del viceregno, pur con i suoi limiti, si avvantaggiarono le province pugliesi, in particolare le zone costiere.
I porti più attivi nel commercio di lana, grano ed olio erano Manfredonia, Barletta, Trani, Bisceglie, Molfetta, Bari, Mola, Monopoli, Gallipoli, e Taranto, caratterizzati da una struttura sociale abbastanza articolata, con una presenza non trascurabile di attività commerciali ed artigianali. Questi prodotti venivano esportati verso altri porti italiani, come Venezia, Genova, Livorno, e di qui verso altri porti del Mediter¬raneo. Il commercio del sale da Barletta e quello delle saccarie, mandorle, fichi secchi, carrube, divenute sin da allora un prodotto tipico dell’economia regionale, aprivano nuove prospettive ai più intraprendenti patriziati locali e ai gruppi più attivi di una nascente borghesia . Tale commercio offrì, inoltre, favorevoli occasioni di investimento e di profitto ad un ceto mercantile ben più attivo ed autonomo di quello salentino, numeroso ed in rapida ascesa economica.
La penisola salentina, invece, stentò a raggiungere un suo nuovo equilibrio, pur trovando fin dagli ultimi anni del Seicento, segnati dalla crisi di Venezia, nuovi sbocchi sul mercato internazionale per l’olio esportato da Gallipoli, la «pazzia» più importante del regno per un prodotto che dava il contributo di maggior rilievo all’attivo della bilancia commerciale napoletana.
I centri costieri di particolare interesse militare e strategico come Brindisi, Taranto, e Otranto o alcuni porti che costituivano dei gangli vitali del commercio pugliese, come Manfredonia e Gallipoli, sfuggivano al controllo diretto di un barone .


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