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Lettera del prof. Cosmo Tridente in ricordo del prof. Antonio Balsamo

Lettera del prof. Cosmo Tridente in ricordo del prof. Antonio Balsamo


IN RICORDO DEL PROF. ANTONIO BALSAMO

Il prof. Antonio Balsamo, storico e letterato molfettese, già emerito docente nei Licei, da un anno non è più tra noi. E’ autore di varie pubblicazioni, tra cui “I novellieri” e “La piccola italiana nella scuola del duce a Molfetta”, che certamente arricchiscono il patrimonio culturale della nostra città. Nel rinnovare alla consorte, ai figli, e alla famiglia tutta il mio più profondo cordoglio, desidero riportare un suo articolo intitolato “Il Corteo”, scritto nel pieno della sua giovinezza, nel novembre del 1963, nel quale cita il mio nome familiare (Mimì) essendo il sottoscritto uno dei suoi più cari amici dell’età fiorita, come direbbe Giacomo Leopardi. Leggiamo l’articolo:

Me ne andavo bel bello col nostro integro Mimì giù per Via Margherita in una bella serata del luglio scorso, quando vedemmo una massa muoversi nella parte inferiore della via. Dopo aver scartato la possibilità di un gregge ovino e di una schiera di profughi slavi, ci accorgemmo che si trattava di un corteo, guidato da un tizio basso e largo quanto due anfore accoppiate del Seminario Regionale. Poco dietro procedevano due vecchietti, mezzo assonnati di cui uno reggeva quel tricolore che in precedenti edizioni aveva coperto i martiri del Risorgimento (quo usque tandem) e l’altro teneva inastata a novanta gradi un drappo xenofilo. Sospendendo la nostra passeggiata ci fermammo ad osservare il corteo che si rivelò alquanto curioso.
Uno del gruppo camminava con braccia ciondoloni, piegato in modo da formare un angolo di 112° 36’ (chi non crede vada a misurare e poi mi dica il coseno e la tangente) e con quel suo incesso mi fece sorgere un dubbio atroce.
Un altro gli veniva dietro con l’aria più olimpica di questo mondo e si sarebbe detto che agli occhi dell’anima gli arridesse la più beatifica visione di oltrenatura. Aveva in mano una valigetta, in cui forse conservava tutti i suoi splendidi sogni, dopo averli prelevati dal famoso cassetto. Un terzo camminava con i piedi alle nove e un quarto e richiamava l’andatura divaricata di certi infantelli che se la son “fatta addosso” come scrive il Brown nel romanzo “Cenere sotto il sole”.
Un quarto faceva l’amore con un americanesco mozzicone di sigaretta (filtro compreso) e alla fine si decise, lo raccolse, lo guardò, lo “smicciò” (come scrive P. P. Pasolini) lo annusò, lo carezzò con l’indice e il pollice, lo riannusò, vi soffiò sopra e bestemmiò perchè il suo vicino glielo aveva sgraffignato. Fu allora che suggestioni ossianiche e sepolcrali si levarono nell’aria al suono delle sue bestemmie necrologiche. Ed ecco uno “scelestissimo puero” (come scrive lo Scrofa nel Fidenzio) che ha la malvagia idea di accostarsi al corteo tutto impegnato in quella “marcia su (via) Roma”, e tira una cordicella che sporgeva dalle brache di un malarnese, piuttosto vecchio e procedente scarponando con certi sonori chiodi sotto le suole di rinoceronte. Poichè quella cordicella aveva una funzione strategica, all’essere tirata provocò il patatracche, perchè braghe e braghettoni minacciarono di ammainarsi. Il ragazzo era fuggito via con la faccia più radiosa del creato, ma lì, nel corteo, qualcosa veniva a turbare le serie intenzioni dei marciatori. Il vecchio, così pubblicamente minacciato di uno scandalo “rosa” si lasciò andare ad un torrente di morti e resurrezioni e morti ancora e resurrezioni di poi (secondo l’uso così dolcemente italiano) e mettiamoci l’infinitesima potenza. Madre, padre, nonni, zii, sorelle, ascendenze e discendenze future di quel ragazzo furono chiamati in causa, all’appello che ne fece il vegliardo, il quale, fermandosi per contemplare la fuga del piccolo delinquente, parcheggiò le proprie scarpe con relativi piedi sulle corrispondenti estremità che gli venivano dietro. Il vecchio era leggero ma le scarpe fra chiodi, suolacce, salvapunte, cordami, terriccio secco e sputacchie varie parevano carri armati reduci da una avanzata nelle maremme. Ai salmi del vegliardo si accompagnarono le antifone del piedipestato e un terzo ci aggiunse di propria iniziativa invettive contro il ragazzotto, invano inseguito da un giovinotto del gruppo che poi rientrò e fece un commento amebeo sullo stesso tono ai salmi, alle antifone et omnibus ceteris. Si formò il coro degli angeli, quel coro di cui parlano Pino Dosaggio e Dante Alighieri.
I quattro continuando a camminare erano giunti alle litanie conclusive, fatte a base di sorelle, specie da parte di quel vecchio che si rivelò piuttosto libidinoso o concupiscente, nonostante l’età provetta, quando un altro incidente venne a turbare la serenità olimpica del gruppo intiero e la soavità apollinea del coro a quattro voci. Credo di avervi reso un’ idea della latitudine del compare che guidava il tutto. Ebbene il suddetto si arrestò di colpo e il gruppo che procedeva pecoron pecoroni sulle sue ampie e profonde orme andò a dar di muso contro di lui, arrestandosi malamente fin nelle ultime file. Sembrò che finalmente tutti si ridestassero e le labbra di tutti s’improntarono ad una stessa espressione di risentimento, mentre io avevo la esatta impressione di quel passo dantesco, dove si contempla la schiera degli scomunicati.
Io guardavo Mimì, Mimì guardò me e avemmo dei sorrisi e commenti sadici. Ma i marciatori guardarono noi e nubi si addensarono sulle loro fronti regali e luminose. Fu allora che fui tentato e il “capriccio del perverso” di cui parla Edgar Allan Poe nei suoi racconti, mi stimolò e la mia voce suonò: “Il cane ci sta, ma il pastore non lo vedo. Beeehhh…”. Fortuna mia che una mortalissima seicento clacsonò fracassosamente chiedendo la via libera e i marciatori dovettero farsi più in là, dandomi agio di svoltare incolume.
Volsi il capo per dare l’ultimo sguardo e le ultime cose che vidi furono: una bandiera che pareva avesse il torcicollo, un marciatore che faceva armeggi orfico-eleusini alle terga di un camerata, e quel giovanottone, che aveva inseguito il piccolo delinquente sfottitore, evadeva e si metteva sulla scia di una cometa bionda ossigenata fornita di provocante “apparato materno”, come scrive il sacerdote Don G. Zilli, direttore di Famiglia Cristiana. Poi, io e Mimì potemmo andare tranquilli a quello splendido diporto di ninfette e ragazze cercamarito che è la nostra villa comunale.

Ciao Tonino, ti ricorderò sempre

Prof. Cosmo Tridente


05/07/2012
Curiosità