Corfù, dai veneziani l'eredità di boschi secolari
Sull’isola si contano 4 milioni di antichi olivi, quasi esclusivamente della varietà, che significa oliva piccola. Un piano che coinvolge tutta la filiera ha l’obiettivo di aumentare la produzione di extravergine per il circuito turistico
Sorvolando l'isola di Kerkyra, così si chiama Corfù in lingua greca, si apprezza dall'alto la fitta copertura vegetale che lascia poco spazio ai campi coltivati.
Ancor più sorprendente, una volta a terra, constatare che gran parte della flora che ricopre l'isola è costituita da boschi secolari d'olivo, spesso consociati con il cipresso nero, la maggior parte dei quali furono piantati dai veneziani durante la loro permanenza (1386-1798).
Per i veneziani l'olio da olive rappresentava, più che una risorsa alimentare, una fonte energetica e forse questo modo di concepire la coltivazione dell'olivo è rimasta anche oggi.
L'isola di Corfù si caratterizza per la presenza di una ricca flora mediterranea, favorita dalle abbondanti piogge che cadono nell'arco dell'anno, per un ammontare di oltre 1.100 mm, e dalle temperature miti. Sono rarissimi gli episodi di temperature invernali che scendono sotto i 0 °C. Le precipitazioni sono comunque mal distribuite nell'arco dell'anno essendo concentrate nel periodo autunnale e primaverile e quasi assenti durante le calde e lunghe estati.
Una sola varietà
Gli oliveti secolari di Corfù sono stati realizzati impiegando quasi esclusivamente una sola varietà: Lianolia (che significa oliva piccola ) il cui peso medio di ogni singola drupa risulta inferiore ai 2 gr. Ci sono, sull'isola, altre 15 cultivar che rappresentano, dal punto di vista produttivo, un aspetto marginale del panorama varietale locale.
Su una superficie totale di 592Km² (640 se si comprendono alcune piccolissime isole annesse a Corfù) sono presenti circa 4 milioni di olivi, quasi esclusivamente di origine secolare.
Rari sono gli impianti recenti realizzati generalmente con l'impiego della cultivar Koronekj. Complessivamente si contano 23mila ha impiantati ad oliveto che rappresentano circa il 38% dell'intera superficie dell'isola di Corfù. Si producono mediamente 20mila t di olio.
Produzione di lampante
Le piante secolari allevate in forma libera, senza particolari cure culturali in generale e senza potature in particolare, hanno raggiunto altezze considerevoli, superando spesso i 10/12 m. Le chiome sono costituite da un'imponente massa legnosa con la vegetazione produttiva localizzata esclusivamente all'esterno e sulle parti alte dove maggiore è la presenza di luce.
In queste condizioni risulta improponibile la raccolta diretta dalla pianta per cui, all'approssimarsi dell'epoca di maturazione, una volta ripulito il terreno dalle erbe infestanti, vengono stese le reti a partire dalla metà di ottobre. Ad intervalli di tempo più o meno regolari si raccolgono le olive che man mano in esse si depositano. La cascola è favorita dai venti più forti e ovviamente e dall'avanzare della fase di maturazione.
Le prime raccolte iniziano a metà novembre e proseguono fino alla fine di marzo. Dalle reti le olive vengono collocate entro sacchi di plastica e trasportate al frantoio per le operazioni di estrazione dell'olio. Le pratiche condotte consentono, solo nel periodo iniziale di raccolta, di ottenere oli vergini con un tenore di acidità compreso tra l'1 e il 2%.
Poche sono le partite classificabili come extravergine e la maggior parte del prodotto risulta quindi lampante, sia per i parametri chimici sia per quelli organolettici. Il prezzo del lampante è compreso tra 1,8 e 2,2 €.
Gestione agronomica
Qualche cosa sta cambiando e sotto la spinta di una crescente passione, complice anche la crisi economica, diversi giovani produttori stanno iniziando un percorso teso alla valorizzazione di un prodotto la cui tradizione è ultra secolare.
L'isola di Corfù è un territorio vocato alla valorizzazione delle eccellenze alimentari della tradizione locale grazie alle straordinarie potenzialità commerciali legate al turismo che garantisce numerose presenze straniere per buona parte dell'anno; merita quindi la produzione di un extravergine di qualità a partire da una razionale coltivazione degli olivi.
È ancora raro incontrare oliveti secolari che hanno beneficiato di interventi di riforma della chioma attraverso potature straordinarie di ringiovanimento.
L'obiettivo da raggiungere è quello di ridurre il volume delle chiome permettendo la gestione della raccolta agevolata direttamente dalle piante.
Cambiare mentalità
È questo il primo passo da compiere per organizzare la filiera produttiva improntata alla produzione di extravergine.
Considerando inoltre che il territorio insulare, di ridotte dimensioni, si presta alla lotta biologica adulticida, sarebbe auspicabile l'applicazione di un protocollo organizzato e gestito da strutture preposte, che seguono il monitoraggio della mosca e che indirizzino i produttori sugli interventi da eseguire per ridurre il rischio di danno potenziale che il parassita può arrecare alla qualità del prodotto.
La qualità passa anche dalla tecnologia estrattiva e, infatti, anche l'aspetto tecnologico estrattivo merita di essere profondamente rivisto e riformato mediante l'adozione di tecniche finalizzate alla produzione di un olio di qualità.
Oggi la maggior parte dei frantoiani che operano sul territorio, non conosce (o se conosce non applica) procedure personalizzate, adattate alle caratteristiche del prodotto in lavorazione.
L'unica strategia attuata è quella finalizzata a massimizzare la resa estrattiva, non applicando le tecniche che favoriscono l'aumento del livello di qualità del prodotto.
Attraverso l'individuazione delle fasi critiche, con il monitoraggio e il controllo dei principali parametri che favoriscono la qualità, si possono ottenere, da una buona materia prima, eccellenti oli. È questa l'esigenza manifestata da alcuni frantoiani interessati all'adozione di tecniche estrattive compatibili con la qualità del prodotto.
È fondamentale anche cambiare la mentalità e considerare il frantoio come luogo entro il quale la qualità del prodotto non può prescindere dal rispetto delle elementari condizioni igienico-sanitarie.
Un progetto integrato
L'interesse che si è manifestato attorno alla coltivazione dell'olivo è tale da rendere indispensabile l'elaborazione di un progetto integrato che consideri tutta la filiera produttiva.
L'obiettivo è quello di produrre una maggior percentuale di extravergine da promuovere e commercializzare attraverso il circuito turistico che costituisce l'asse portante dell'economica dell'isola.
Tutto parte dalla coltivazione degli olivi che vanno ristrutturati per consentire la raccolta direttamente dalle piante.
Gli interventi di riforma attualmente vanno autorizzati da un ente preposto che indirizza tecnicamente l'olivicoltore sulla tipologia di taglio da eseguire.
La procedura autorizzativa degli interventi di potatura è motivata dal fatto che, a Corfù, all'olivo viene attribuita anche un'importante funzione paesaggistica, che va tutelata nel rispetto di una tradizione plurisecolare, a supporto di una economia turistica che non può prescindere dal territorio.
È utile sottolineare che adattare la chioma dell'olivo all'esigenza agronomica di gestire con più facilità la raccolta, non contrasta minimamente con la funzione ornamentale che la pianta esercita sull'ambiente.
Gli interventi di riforma si potrebbero comunque dilazionare nel tempo per evitare eventuali temporanee modifiche del paesaggio rurale.
Il progetto deve anche prevedere l'addestramento degli operatori della filiera, attraverso percorsi didattico formativi riservati agli olivicoltori e ai frantoiani.
Gli abitanti dell'isola distinguono nettamente il prodotto locale definendolo “l'olio di Corfù”.
Memoria gustativa da modificare
La memoria olfattiva associa gli odori del prodotto locale al loro territorio e alla loro tradizione gastronomica.
Proporre oli con caratteristiche diverse, ancorchè di maggior pregio, potrebbe non trovare consensi nel consumatore; da qui l'esigenza di proporre corsi di assaggio sia professionali, sia indirizzati alla popolazione, per trasferire le conoscenze necessarie alla valutazione oggettiva della qualità.
Attraverso i corsi professionali, inoltre, andrebbero addestrati degli assaggiatori professionisti per costituire un panel di assaggio riconosciuto dalle norme governative, così da iniziare un percorso per ottenere il riconoscimento di una Dop (Denominazione di origine protetta).
Di Stefano Cerni e Maria Ovale
Fonte: agricoltura24
29/09/2014
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