PARLARE IN PUBBLICO - 2^ parte
Per molti che si devono improvvisare oratori – senza essere abituati a farlo – il solo pensiero di dover sostenere tale situazione risulta molto ansiogeno, perchè pone a confronto con l’insicurezza e i fantasmi interiori.
I gesti del parlare in pubblico. “Corpo, voce, gestualità delle mani, modo di camminare… ecco come influenzano la comunicazione”.
- Il corpo e la voce sonno tra loro inseparabili. Anzi, in alcune persone il timbro della voce è indissolubilmente legato a un certo modo di muovere le mani, di sorridere, di scostarsi i capelli dalla fronte ecc. Non a caso nella notte dei tempi il linguaggio umano nacque come sistema muto fondato sui gesti (esistevano vocalizzi, ma certamente non parole compiute). La nascita delle parole si è dunque depositata su un alfabeto gestuale che ne faceva da base e che ancora oggi è presente in modo assai significativo.
- Lo sguardo. Esprime di noi a volte molto più delle parole. O meglio: dà loro vita, le “colora”, le arricchisce di sfumature. Può ricercare assenso o lanciare una sfida, esprimere commozione/coinvolgimento, oppure sicurezza e convinzione: in ogni caso è l’ingrediente essenziale di una comunicazione silenziosa, ma pregante, che corre parallela alle parole. Tenere lo sguardo abbassato è indice di timidezza; mantenerlo fermo e sicuro davanti a sè rivela un buon livello di autostima e la padronanza dell’argomento e dei mezzi espressivi. Muoverlo ripetutamente da un angolo all’altro della sala può avere due significati: in un caso è indicatore di uno stato d’ansia o di insicurezza che la persona sta tentando di compensare o di mascherare; nell’altro, denota l’intento di far sentire partecipi tutti gli astanti, di coinvolgerli nel discorso senza preferenze.
- Le mani. Il gesticolare contribuisce a catturare l’attenzione degli interlocutori o di un più vasto uditorio. Di solito risulta più facile e spontaneo muoverle quando si parla di qualcosa di concreto: ma in generale l’oratore può utilizzarle come un pennello o una matita con le quali disegna nell’aria non solo la cosa a cui si sta riferendo, ma anche il concetto astratto. L’essenziale è che seguano il ritmo della frasi, che “accarezzino” la nostra voce, che contribuiscano a porgerla a chi ci ascolta. Solo in questi casi le mani per accompagnare ciò che si dice può rivelare sue aspetti differenti e addirittura opposti: a volte è segno di una forte passionalità comunicativa; la persona è totalmente coinvolta in ciò che dice, quasi al punto da volergli “dare forma”, da voler plasmare con le mani i concetti che esprime. Altre volte invece è un modo per compensare una carenza di argomenti o di argomentazioni. La differenza fra le due risulta facilmente visibile, in quanto nel secondo caso si percepisce il contrasto tra l’eccesso di movimenti e la mancanza di messaggi.
- La deambulazione. Se non si deve parlare da seduti (come invece a una tavola rotonda o a una riunione di lavoro), deambulare può essere molto utile per comunicare qualcosa in più. A meno che non si trovi su un palco, l’oratore che cammina può avvicinarsi al pubblico e creare con alcuni uno scambio più diretto ed esclusivo (ovviamente senza trascurare il resto della “platea”). Inoltre, il movimento complessivo del corpo, se accompagna armoniosamente l’eloquio, può rendere più efficace il messaggio. Per esempio, una passeggiata “morbida”, non frenetica, durante il racconto di un evento può regalare più ritmo alla narrazione, aumentare l’attenzione e l’interesse. Se invece chi cammina mentre parla assume un andamento nervoso e fa dei movimenti bruschi e disarmonici, può generare ansia negli ascoltatori, i quali vengono distratti e non riescono a focalizzarsi bene sul discorso.
19/01/2015
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