SARCASMO - 2^ parte
Il termine “sarcasmo” deriva da un verbo greco che significa “lacerare le carni”. Ciò indica il grande potere di far male – sul piano psicologico – delle parole piene di sarcasmo, soprattutto all’interno di relazioni significative.
I tipi sarcastici. “A ognuno di noi può scappare una frase sarcastica, ma ci sono alcuni che hanno una spiccata tendenza a farne uso, tanto che il sarcasmo diventa il loro sguardo sulla realtà e la loro cifra di riconoscimento”.
Tra questi si possono riconoscere cinque tipologie.
- Il superiore. Ha un innato complesso di superiorità, a prescindere da ciò che ha realizzato nella vita, che si traduce in un atteggiamento di “scontata saggezza” o di velato disprezzo verso l’altrui operato. Il suo sarcasmo è tutto diretto all’esterno. Su di sè rivolge invece una garbata e affettuosa autoironia.
- Il disilluso. È cronicamente amareggiato dall’esistenza e non crede più nella felicità, tanto che quando essa si presenta lui non la riconosce, non sa viverla o la impacchetta in un sarcasmo carico di sconfitta. Ha avuto qualche delusione, ma il suo sarcasmo maschera la paura di riprovare a mettersi in gioco e di soffrire.
- Il dipendente. È incastrato in una coppia in cui l’amore è stato vissuto male, con frustrazioni inespresse e umiliazioni non sfogate. Ora gli restano attaccamento e dipendenza dal partner, che però è rimasto identico a se stesso. Chiede l’impossibile amore di un tempo attraverso la critica sarcastica, ma ottiene indifferenza, che potenzia a sua volta il sarcasmo.
- Il maldestro. Ha un enorme bisogno di accettazione, di sentirsi unico e simpatico. Ciò lo porta a fare dell’ironia pesante, a forzarla fino a chiedere l’applauso ma in realtà dovrà chiedere scusa per aver ferito od offeso. È uno “spaccone psichico”, che non riesce a fare autoironia per paura di perdere valore.
- L’arrabbiato. È un misto di tutti gli altri quattro sarcastici. Neanche lui sa bene da dove nasca l’arrabbiatura, benchè spesso sia riconducibile a un rapporto da sempre molto conflittuale con almeno un genitore. Alterna ironia pesante, disillusione, superiorità reattiva e frecciate gratuite, ma la sua solitudine non cambia.
Chi lo subisce. “Chi riceve frasi sarcastiche quasi mai può restare del tutto indifferente, se quella relazione per lui ha almeno un po’ di significato”.
Se è ipersensibile, e di solito si sente attaccato da una critica ben fatta, la reazione di chi è colpito dal sarcasmo è sproporzionata e può sfociare in due atteggiamenti: uno scatto veemente che cerca di far valere le sue ragioni, di spiegarle, di difenderle; oppure una nettissima chiusura in se stesso, segnale di profonda offesa ad orgoglio ferito. Lo stesso discorso vale per chi , pur non essendo ipersensibile alle critiche, è in quel momento nervoso, irritabile, e ha dunque una soglia di sopportazione più bassa rispetto al solito. Se invece la persona ha un’autostima valida e stabile, riesce spesso a non reagire “sopra le righe”, ma prova comunque notevole fastidio per l’atmosfera cinica o polemica che il sarcasmo porta nella relazione. È un fastidio che, se troppo frequente, può smorzare gli entusiasmi più accesi… Particolare irritazione produce l’atteggiamento di chi, attraverso il sarcasmo vuole spronare, stimolare verso un obbiettivo o una reazione. Tipico è il caso del genitore che pungola – pensando di incoraggiarlo – il figlio per farlo uscire da una crisi di studio o sentimentale; oppure del superiore che critica il subalterno per ottenerne un maggior rendimento. In molti di questi casi il sarcasmo ha il potere di togliere energie e voglia di fare a chi lo subisce. Ciò vale ovviamente anche quando lo si rivolge a se stessi.
16/02/2015
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