Olio: Alla conquista degli Usa puntando sul salutismo
L’olio d’oliva è sempre più presente sulle tavole delle famiglie statunitensi. In poco più di dieci anni, il consumo di questo prodotto è passato dalle 170mila t della campagna 1999/2000 alle circa 277mila t del 2011 (fonte Coi), confermando gli Stati Uniti come maggior mercato tra i Paesi dove il consumo dell’olio d’oliva non è patrimonio della tradizione.
A una domanda così importante non corrisponde un’offerta adeguata: secondo le stime del Coi nel 2011 la produzione olearia statunitense, pur in costante crescita, si è assestata sulle 6mila t, facendo degli Stati Uniti il secondo importatore mondiale di olio d’oliva, subito dopo l’Italia.
La salute al primo posto
Ma qual è la percezione dei consumatori statunitensi di questo prodotto che solo recentemente ha iniziato a esercitare un appeal sul mercato nazionale? Una ricerca sul consumo di oli extravergini d’oliva, condotta presso l’Università della California e coordinata da Jean-Xavier Guinard, ha messo in evidenza che i fattori da prendere in considerazione sono molteplici.
La motivazione più significativa per il consumo dell’olio d’oliva è quella salutistica. Ciò non stupisce se si considera la campagna di promozione del consumo d’olio d’oliva condotta da varie istituzioni negli ultimi dieci anni. Nel 2004 la Food and drugs administration, l’ente statunitense che effettua i controlli sulla sicurezza alimentare e sui farmaci, ha riconosciuto ufficialmente le proprietà salutistiche dell’olio d’oliva, autorizzando a indicare in etichetta che “mangiare due cucchiai di olio d’oliva al giorno può ridurre il rischio di danni coronarici grazie all’azione degli acidi grassi monoinsaturi dell’olio d’oliva”.
Al secondo posto tra le motivazioni del consumo di olio d’oliva figura l’utilizzo del prodotto in cucina: l’olio arriva negli Stati Uniti insieme alla ricette di cui è parte integrante, come ingrediente da utilizzare per preparazioni ispirate a modelli culinari mediterranei, proprio negli anni in cui l’Unesco ha sancito l’importanza della dieta mediterranea riconoscendola patrimonio dell’umanità.
Curiosa la terza motivazione, rappresentata dall’utilizzo dell’olio come condimento sul pane dopo che lo si è assaggiato al ristorante.
Al quarto posto si colloca l’influenza dei genitori già utilizzatori del prodotto e solo al quinto posto il sapore del prodotto in sè. D’altro canto, ciò non significa che le caratteristiche sensoriali dell’olio non abbiano alcuna importanza, ma piuttosto induce a pensare che, come è naturale, poichè l’olio è un ingrediente e un condimento per i consumatori valutarlo da solo non abbia grande senso.
Non è buono ciò che piace
Dai risultati emerge, inoltre, che le caratteristiche relative al gusto spesso sono fuorvianti per il consumatore statunitense, che valuta l’amaro e il piccante come caratteristiche negative del prodotto. In generale, vengono percepiti come indicatori di tossicità e per questo sono generalmente rifiutati, se manca un’esposizione e un’abitudine a essi. Infatti, mentre è stato mostrato che in Italia l’amaro e il piccante sono fattori importanti per la preferenza e le due proprietà sono percepite come indicatori di qualità, i consumatori statunitensi preferiscono in larga maggioranza oli dove queste sensazioni sono assenti e caratterizzati da un aroma di fruttato, frutta secca (nocciola, noce) e di tè. Inoltre, addirittura alcuni consumatori prediligono proprio quelli che sono considerati i principali difetti dell’olio, come il rancido, l’ammuffito e l’avvinato.
In ciò gli Stati Uniti pagano proprio il fatto di essere un mercato emergente, non abituato al prodotto. I consumatori hanno familiarizzato con questi comuni difetti dell’olio che caratterizzano i prodotti che sono soliti consumare, sia perchè spesso si tratta di oli economici di scarsa qualità sia perchè le modalità di conservazione del prodotto ne mettono a repentaglio l’integrità: non è raro che una bottiglia d’olio venga conservata per lungo tempo riservandola per le occasioni speciali, senza considerare che questo comportamento compromette gravemente la qualità del prodotto.
Si compra al supermercato
Anche le modalità di acquisto differiscono molto rispetto a quelle dei Paesi mediterranei, dove spesso l’olio viene acquistato sfuso direttamente dai piccoli produttori. Nel 68% dei casi il prodotto viene acquistato al supermercato, per il 50% in negozi specializzati mentre per il 43% in mercati agricoli. Queste modalità, mediate dal rivenditore, fanno sì che l’acquisto del prodotto sia per lo più slegato dalle sue proprietà sensoriali: raramente l’acquisto, infatti, si basa sull’assaggio del prodotto, che invece viene scelto per le sue caratteristiche estrinseche come l’aspetto della confezione, le informazioni disponibili in etichetta, la riconoscibilità del marchio e, non ultimo, il prezzo.
Tre tipologie di consumatori
Sebbene l’atteggiamento di rifiuto per l’amaro e il piccante sia condiviso dalla maggioranza dei consumatori statunitensi, lo studio ha permesso d’individuare tre gruppi sulla base delle loro preferenze, rappresentativi di tre tipologie di consumatori.
I consumatori del primo gruppo tendono a dare giudizi positivi su tutti i prodotti, rivelandosi meno sensibili ai difetti, ma anche meno duri rispetto ai prodotti caratterizzati da un forte amaro e piccante. Per questo tipo di consumatori, che si mostrano quindi nel complesso scarsamente sensibili alle caratteristiche sensoriali, il fattore principale nell’acquisto di un prodotto è la reputazione: grande importanza riveste il fatto che l’olio abbia vinto un premio o la zona di origine, con una predilezione per gli oli importati rispetto a quelli di produzione nazionale, probabilmente perchè reputati di maggior pregio.
Una seconda tipologia è rappresentata da consumatori che tendono a valutare negativamente la maggior parte degli oli, con l’unica eccezione di quelli difettati e caratterizzati da un gusto burroso, che sono invece i prediletti. È interessante notare che per questi consumatori la motivazione principale all’acquisto è di ordine salutistico e il fattore chiave nella scelta di un olio è il prezzo. La scarsa attenzione verso la qualità va probabilmente spiegata come un sintomo della scarsa familiarità con il prodotto. Un’informazione mirata e un’educazione al consumo che illustri le caratteristiche di un olio più ricco in fenoli, come l’amaro e il piccante, potrebbe essere di grande importanza per questo segmento di consumatori.
La terza tipologia individua un consumatore che predilige oli caratterizzati non solo da un aroma di frutta secca, tè verde e frutta matura, ma anche da frutta verde, erba e pomodoro verde, mentre invece non ama gli oli che ricordano nell’aroma frutti tropicali e erbe aromatiche. Questi consumatori, che tendono a essere fortemente influenzati dalle informazioni disponibili sui prodotti, utilizzano l’olio come condimento nelle insalate, ma lo ritengono troppo caro per utilizzarlo in cucina.
Un confronto con gli esperti
Dai risultati dello studio emerge che i giudizi di preferenza dei consumatori non coincidono assolutamente con quelli degli esperti, per i quali l’amaro e il piccante sono ritenute qualità positive, indici di freschezza, di un olio ottenuto a partire da olive verdi e fresche e della ricchezza in fenoli, quindi caratterizzati da presunte maggiori qualità salutistiche. Per questo, i ricercatori suggeriscono due strategie principali d’intervento. Da un lato si sente sempre più l’esigenza di rendere disponibili informazioni più specifiche sul prodotto e sulle sue caratteristiche di modo da rendere il consumatore statunitense consapevole del fatto che l’amaro e il piccante non sono difetti ma pregi del prodotto. Dall’altro, non va sottovalutata l’idea di promuovere l’utilizzo dell’olio in cucina, suggerendo preparazioni culinarie in grado di mascherare questi gusti forti dell’olio.
Sottolineare la correlazione tra qualità del prodotto, proprietà sensoriali e salutistiche è essenziale. Si tratta di una sfida non da poco, ma che si presenta anche come inevitabile in un mercato in costante crescita in cui l’export italiano ha un ruolo chiave, essendo l’Italia il principale fornitore degli Stati Uniti.
Fonte: www.agricoltura24.com
21/03/2015
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