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Il maestro Don Salvatore Pappagallo: la sua musica, la mia vita - memorie fuori pentagramma in filtri autobiografici by Saverio Mongelli
E’ curioso che oggi, Sabato Santo 2015, unico giorno, a-liturgico dell’Anno, il silenzio della mia casa si popoli di suoni e questi, a loro volta, evochino immagini, ridestino ricordi di luoghi, riti, persone…
Ritrovarmi, quasi in un revival di cori a cappella, a spiare le mosse del Direttore, a fare i conti col diapason per l’ incipit della parte dei baritoni… Ma poi, inaspettato, il ferma-immagine… e la memoria catapultata indietro vertiginosamente… Io ad appena dieci anni… Lo strappo doloroso dalla famiglia, dai compagni di giochi… Il Seminario Vescovile, gli echi di musiche profane pervenire a me, dietro le grate, dall’adiacente Villa Comunale e con essi i rumori, il viavai festoso della gente… E attorno a me fioche luci e il silenzio. Strano il silenzio a dieci anni!... Strano per uno che era abituato a spensierate scorribande nella natia via XX Settembre, tra le due principali arterie cittadine e le bancarelle dei pescivendoli nella plebea “Chiazze de Gelarienze”!
Ma dopo qualche mese quella pausa innaturale iniziò a rendermi, in cadenza, come gocce di un’incipiente pioggia primaverile, note di una musica nuova, che penetravano benefiche nel mio cuore di fanciullo, che mi aprivano a inusitate liturgie…, a una sacralità severa, rituale eppur fascinosa… I canti alla Vergine, i Pange Lingua da imparare ed eseguire all’unisono…, il gregoriano della Missa De Angelis e di altre per il Pontificale della domenica in Cattedrale, mi trascinarono nel loro “circuito seduttivo”…
E poi la prima esibizione nel salone della P.O.A. (Pontificia Opera Assistenza), un edificio – ora demolito - attiguo all’area verde del Seminario . Fu anche la prima esperienza di canto polifonico… L’incoraggiamento di don Giuseppe De Candia, quel misto di frenesia e timore, il disgustoso vino caldo prima di iniziare…, il pubblico delle grandi occasioni…
Mi rimane un Autore – Lorenzo Perosi – e un titolo, Mysterium Ecclesiae …, il “Mistero della Chiesa”, di quella Chiesa che – con Papa Giovanni XXIII – si stava inventando il Concilio Ecumenico Vaticano II...
A quel battesimo musicale succedette il Seminario Regionale e un Maestro che in un primo tempo giudicai burbero, avaro di attenzioni, quasi monotematico anche rispetto alla naturale dolcezza consona ai Pastori del gregge e ai Ministri di Dio.
Mi sbagliavo… Don Salvatore Pappagallo – familiarmente da noi chiamato “Psyttacus” – aveva colto i fermenti conciliari in tutti i settori – da quello esegetico e teologico fino al modo di vestire – ma soprattutto le istanze connesse col rinnovamento liturgico e che inducevano Paolo VI ad ammonire: “ La Chiesa attende da voi… la creazione di nuove espressioni artistiche, la ricerca di forme musicali nuove… Responsabilità grande la vostra, degna di ogni più nobile sforzo”. Egli prese sul serio questo compito.
E non fu facile coniugare la qualità della musica con le esigenze, le aperture, lo scalpitare di noi giovani. In questo fu educatore accorto e sapiente… Lampi rari di sorriso agganciavano il nostro bisogno di nuove sonorità, di melodie da consumare nell’esiguo tempo libero che la severa formazione ecclesiastica concedeva. Ricordo che ne venne fuori una prima raccolta, significativa nel suo essere manoscritto ad usum privatum interno (badate la precisazione!). Il titolo era anche un invito : “Cantate con noi”. Il Maestro ci indicava implicitamente quel legame che poi ci avrebbe uniti. Egli sembrò cedere alle nostre richieste perchè in quei 77 canti ciclostilati in formato 20x15 cm., includeva innocue canzonette a sfondo religioso, canti scout e dello Zecchino d’Oro (tutti di moda a metà anni ’60), ma inseriva e riproponeva colonne sonore di film, canti spiritual e altri brani, tutti accomunati dalla caratteristica di essere “buona musica”. Voleva semplicemente educarci ad essere esigenti nelle scelte.., a non adeguarci alle mode divenendo schiavi di altre liturgie non certo costruttive. Perciò volle che ci riferissimo al suo grande Maestro, a Nino Rota, che alternava musiche per i film di Fellini e composizioni sacre – come la “Messa Breve” – e che don Salvatore volle farci personalmente conoscere in Seminario nell’a.s. 1965-66.
Fui soggiogato dalla musica. Un vero innamoramento giovanile... Ma non potevo permettere che i miei, senza lavoro stabile e senza casa di proprietà, si sobbarcassero a lezioni di pianoforte allora costose… Mi accontentavo di sgattaiolare come furtivo autodidatta nei tempi morti tra il turno di un “apprendista stregone” e un altro.
Da ripetute selezioni dei timbri vocali e da reiterate verifiche della tecnica musicale nacque il Coro. Forse per un meccanismo compensativo lì non volli mancare…E vi ebbi una parte importante divenendo uno dei fedelissimi del Maestro.
“Molti si domandano – scriverà don Salvatore successivamente – se in questo clima di novità, di ridimensionamento delle celebrazioni liturgiche, di introduzione della lingua volgare, di esperienze beatles (sic!), ecc. ha ancora un senso la cappella musicale”… La sua risposta fu proprio restituirle quel “senso” in quanto: “guida dell’assemblea, suscitatrice e animatrice di sentimenti che nel linguaggio artistico trovano la più valida espressione”… Restituire così uno spazio liturgico a tutto ciò che è musicalmente valido e “che è stato prodotto dall’uomo nei secoli”, stimolando però anche “un linguaggio religioso-musicale adeguato ai nostri tempi”.
Un doppio movimento: ermeneutico (conoscenza, interpretazione, conservazione e tutela del patrimonio musicale) ed euristico (apertura, ricerca, evoluzione verso forme nuove). Un progetto mirabile di sintesi di Nova et Vetera , che fu da noi giovani pienamente condiviso.
Le prove meticolose, continue, se toglievano spazi alle nostre partite di calcio o al “passeggio” pomeridiano, ci portarono via via a gradi di tecnica esecutiva sempre più raffinati e impegnativi… e le “Beatitudini” (1966-67) ci sembrarono roba da principianti quando ci spingemmo sulle dissonanze di “Jerusalem” (1967-68), emblematiche anch’esse di quel conflitto generazionale che stava scoppiando e che ci induceva a cogliere l’essenzialità del Vangelo come “melodia di fondo” contro i Farisei di ogni tempo.
Nello stesso periodo Don Salvatore recepì altre nostre richieste con una 2^ raccolta (in un contenitore ad anelli a mezzo foglio A4) specifica per le celebrazioni liturgiche (e non solo). Novantacinque gli spartiti essenziali (notazioni vocali con accordi musicali) che rappresentavano il meglio delle nuove tendenze (folk, twist, pop…) e dei nuovi autori , noti e meno noti, discretamente suggeriti (Agustoni, Picchi, Renoglio, Stefani, Gazzera, Calabrese, Machetta, Causani, i Gen, Belloli, Marciano, Mahr, Pedimonti, Riva, Martorelli). Preponderanti vi figuravano la Messa dei Giovani e la Messa Alleluja e le “textures” salmodiche di Marcello Giombini, ivi accostate ai più belli “spiritual” negri (by Varnavà-Carnagioli).
Intanto alcuni grandi eventi ci videro protagonisti.
Dal 9 al 13 aprile 1969 la nostra Schola Cantorum partecipò alla Rassegna Internazionale delle Cappelle Musicali di Loreto. Conservo ancora memorie, foto e spartiti sia dei brani d’obbligo (la Missa “Quasi Modo” della Domenica “In Albis”, l’Ave Maria di Palestrina, il “Beati Eritis” di Croce e il “Gaudens Gaudebo” di Perosi) sia di quelli a libera scelta, che perciò per don Salvatore indicavano le “matrici” formative e gli … “amici di sintonie” (la “Messa Breve” di Nino Rota, Cesare Franco e Sanseverino Gramegna) da lui associati ai suoi stessi brani (“O Bella Mia Speranza” e “Laetetur et Exultetur”).
A Loreto fu bello incrociare la nostra esperienza con quella di altri undici gruppi vocali italiani (3) ed europei (8) di alto livello: seicento cantori diversi per età, Paese, cultura musicale, tradizioni, ecc., ma accomunati dal desiderio di conoscersi e nell’unisono del latino (utilizzato anche per comunicare tra noi, vista la scarsa conoscenze delle lingue straniera a quei tempi). Un “affiatamento” non solo di voci, ma di sensibilità profonde che solo la vera musica sa creare.
Meravigliosa la “location” ed efficiente l’organizzazione curata dal Presidente della Rassegna, il Comm. Augusto Castellani… Ma, incisi per sempre nel cuore, i ricordi più vivi:
- L’alternarsi dei cori ogni mattina alla Messa di Mons. Romita e nei canti di mercoledì 9 aprile (giornata mariana);
- Gli specifici repertori eseguiti dalle varie cappelle anche in due “concerti di gala”, le serate di giovedì 10 e di sabato 12 aprile;
- Il magistrale Concerto d’Organo del M. Fernando Germani su musiche a me molto care (G. Frescobaldi e J.S. Bach “in primis”);
- Il meraviglioso “concerto di gala” di venerdì 11, da parte della Cappella Sistina con la direzione impeccabile del M. Domenico Bertolucci;
- Le valutazioni attente di una Giuria di musicisti qualificati alla presenza di Autorità Civili e Religiose e di un pubblico di appassionati che seguiva le esibizioni sia nel mistico clima della Basilica sia sul sagrato della Piazza adiacente;
- La partita di calcio allo Stadio Comunale di Loreto, arbitro federale lo stesso Ristoratore, tra il nostro Coro (…l’Italia) e la Cappella di Bad-Ems (… la Germania). Il pareggio finale di 1 – 1 da noi raggiunto “in zona Cesarini” e propiziato da chi scrive, … l’intervista a me fatta dalla Radio Regionale delle Marche in un clima gioioso e autoironico;
- Il Pontificale conclusivo di Domenica 13 aprile 1969, diffuso dalla RAI-TV con le cappelle in corteo alla processione offertoriale e io, unico corista molfettese, a portare il cartello col nome della nostra Città, affiancato da un amico col pane di Altamura e da un altro con un barilotto di vino di Gioia del Colle…;
- Il ritorno in treno su altra linea Ancona – Roma e il lunedì 14 aprile l’Udienza Pontificia nella Sala Clementina, in Vaticano, con tutte le cappelle, compresa quella di Randazzo che si era aggiunta il sabato. Indimenticabili le parole di Papa Paolo VI (cfr. Osservatore Romano 14-15 aprile 1969). Fresco in me il Suo richiamo alla Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia - “Sacrosantum Concilium” – i nn. 114, 116 e 118 e soprattutto il n. 112: “ La musica sacra ha il suo grande valore perchè esprime più dolcemente la preghiera, favorisce l’unanimità, e arricchisce di maggiore solennità i riti sacri”. Vivo il Suo rammarico: “Troppe bocche rimangono mute, senza sciogliersi nel canto che è anch’esso confessione gioiosa della fede in Cristo; troppe celebrazioni liturgiche rimangono prive di questa mistica vibrazione, che la musica autenticamente religiosa comunica alle anime aperte e sensibili dei fedeli”!!. Vibrante il Suo spirito profetico: “Voi sapete quanto a noi stia a cuore il canto liturgico, che nel freddo squallore di un mondo raggelato dall’egoismo e dai miti moderni dell’incomunicabilità e della protesta, può, se inserito nel suo giusto posto a servizio della liturgia, cooperare efficacemente affinchè scocchi di nuovo la scintilla dell’entusiasmo, della gioia, del fervore…!”.
- E poi la foto col Papa - il Maestro ed io alle Sue spalle – quella in Piazza S. Pietro, con me accovacciato e tra le mani (in bella mostra…, pro-memoria) lo spartito dell’ “Oremus Pro Pontifice” del M. Adamo Volpi, organista della S. Casa di Loreto.
La Rassegna ebbe come epilogo il Congresso Nazionale dei “Pueri Cantores” a Napoli da mercoledì 25 a domenica 29 giugno 1969, cui partecipammo (…già in un clima vacanziero) per una finalità ben specifica: la registrazione del LP con i nostri “pezzi forti” (a partire dalle “Beatitudini”) effettuata presso gli studi televisivi della trasmissione “Senza Rete” e propiziata dal Card. Corrado Ursi, andriese ed ex Rettore del Seminario Regionale eletto Arcivescovo di Napoli e - esattamente un anno prima - alla dignità cardinalizia. A lui don Salvatore aveva dedicato la composizione più moderna e significativa, “Jerusalem”. I ricordi più belli di quella luminosa primavera sono legati al trasferimento, in “motonave riservata”, da Napoli ad Amalfi - dove ci esibimmo sul sagrato della Cattedrale la sera di sabato 28 giugno – e al Solenne Pontificale di chiusura di domenica 29 giugno al “Tempio dell’Incoronata” a Capodimonte.
Il quinquennio dal 1969-70 al 1974-75 segnò il mio scendere dal Monte Tabor a valle,… riportando questa formazione musicale nel contesto parrocchiale e oratoriano di S. Filippo Neri… Anni di “traduzione” in cui, sopra tutti, conservai nel cuore e nella memoria non i “fermenti lauretani”, ma melodie sbocciate dal silenzio. Mi riferisco al misticismo insuperabile dei nostri cori a cappella sui responsori di Perosi e del Praenestinus eseguite “Ad Matutinum” e “Ad Laudes” del Giovedì e del Venerdì Santo (“Officium Tenebrarum”)… Riecheggia di essi ancora oggi in me una nostalgia arcana, la viva percezione dell’immedesimarmi empatico nel mistero salvifico dell’ “Uomo dei dolori”… nel suo tragico epilogo: “In monte Oliveti”…., il “Tristis est anima mea” riveniente dal rinnegamento di Pietro, dal sonno e dalla fuga dei discepoli… , dal tradimento di Giuda “Mercator pessimus”… E l’amara constatazione del Redentore: “Omnes Amici Mei dereliquerunt me, et praevaluerunt insidiantes mihi” ! Emozioni che arrivavano dritto al cuore e che segnarono il mio stesso percorso di autenticità, di identificazione sofferente col destino del Divino Maestro, anteprima di ogni umana precarietà esistenziale. … E alla fine il “Velum Templi” dilacerato per sempre, lasciato in balia del poderoso vento dello Spirito, in empiti di misericordia e vertici di amore senza fine. A quel Vento affidai la barca della mia vita.
Ma anche in quel travagliato periodo, quando la miopia di certe realtà ecclesiali impediva a me e al gruppo giovanile allocazioni parrocchiali per approfondimenti su temi come la “Infallibilità Pontificia” o la veridicità dei “miracoli”, ecc., perchè sospetti “a priori” solo per il fatto di essere dibattuti, costringendo famiglie della media e alta borghesia a darci ospitalità in casa o in “Eremi” di contrade rurali,… anche allora don Salvatore Pappagallo recepiva le “note dissonanti” di questo disagio, concedendo a me e ad altri giovani le chiavi di un “pianoterra” in Via Sergio Pansini per gli approfondimenti biblici nel primo pomeriggio. Lì, dove intanto sbocciava la Scuola Popolare di Musica “Dvorak”; sì, lui, il compositore del “Concerto dal Nuovo Mondo”, dava il nome alla Scuola in un binomio significativo e programmatico: “concertare” e “rinnovare”… Una straordinaria “scommessa” che la Città - nei decenni successivi – non volle (o non riuscì) a cogliere appieno, quanto le Istituzioni, la Scuola e la stessa Diocesi…. E che rischia ancora di “estinguersi” di morte “innaturale” col venir meno delle energie e della vita dei suoi primi sostenitori.
Nel successivo quinquennio (dal 1975-76 al 1980-81) l’allontanamento da don Salvatore Pappagallo fu conseguente alla mia decisione di trovare un lavoro che consentisse la mia libertà di pensiero – azione. Il mio cuore veleggiava sotto la spinta degli ideali di dialogo sollecitati dal conseguimento della Licenza in Ecumenismo presso l’”Angelicum” (Pontificia Università S. Tomaso d’Aquino) di Roma. Ma il distacco fu solo apparente. La lezione di “armonia” don Salvatore l’aveva riportata all’interno del nucleo familiare, quello stesso “spazio aperto” che negli anni di Liceo mi aveva ospitato, permettendomi di mettere a confronto le prime rudimentali schitarrate - “voice” mio fratello Gaetano o mio cugino Paolo Altamura e “percussionist” (intendiamoci…, sulle scatole vuote di Dixan!) il futuro pittore Gaetano Grillo. In quella casa ospitale ero aduso recarmi per ascoltare, estasiato, fughe e preludi di Bach, girando le pagine degli spartiti durante le magistrali esecuzioni del fratello Mauro Pappagallo, strumentista polivalente e aperto. Infatti si/ci concedeva pause “ludiche” suggerendo sfumature di 7^, 4^ (maggiorate e non) e “ghost notes” su moderni “Yesterday”, “Hello Goodbay”, “L’Ora dell’Amore”, “The Water Shade of Pale”, ecc. che, incanto a parte, impreziosivano le nostre rozze esecuzioni e che avrei capito molto, molto più tardi. Ebbene, fu il cognato Vito d’Agostino, Segretario della Media “Savio” ad essermi vicino, sincero e disponibile ”caregiver” della mia “croce civile”, fornendomi supporto per l’inserimento nelle graduatorie di Applicato di Segreteria, nel periodo breve delle supplenze, fino all’immissione in ruolo. Da lui acquisii le basi professionali, quel senso di gioiosa operosità, di capacità di mediazione, di ricerca della pace che gli provenivano dall’humus melodico della famiglia e che segnerà per sempre la mia presenza nella Scuola. Alla fine degli anni ’70 intanto, proprio lì, nella “Savio”, nasceva – col mio 1° lavoro amministrativo – il 1° Corso di Scuola Media ad Orientamento Musicale. Una sorta di magia, col suo filo dorato continuava a seguirmi, a legare le contraddizioni della mia ritardata, innocente adolescenza fornendo punti di … “fuga” ma anche di prospettiva… Mi incoraggiarono a riprendere il Corso di Laurea in Pedagogia (per due anni ero stato solo iscritto) e – pur inchiodato dagli orari d’ufficio – in due anni e mezzo mi laureai summa cum laude. Ero felice di sapere che in Piazza delle Erbe funzionava quella Scuola Popolare di Musica “Dvorak” di cui avevo visto il sorgere… e che, per i vari strumenti, essa fruiva degli stessi giovani, ottimi maestri (Martinelli, Scarola, Del Vecchio, ecc.) che operavano nella mia scuola media. Ero a conoscenza anche che mia cugina, la prof. Franca Altamura De Gennaro, era tra le più valide collaboratrici di don Salvatore e che aveva trascinato in differenti avventure strumentali tutti tre i suoi figli (Teodora, Corrado e Paoletto)… Anche per questo mi sentivo ancora in famiglia su quel doppio versante.
La Rassegna Internazionale delle Cappelle Musicali del 1981 costituì ancora un ponte, tra il 3° quinquennio di relazione con il M. Pappagallo e le mie future scelte professionali… In questo senso, simbolico fu un avvenimento …. Ricordo come fosse adesso il Concerto di S. Cecilia di domenica 23 novembre 1980. Avevo da alcuni giorni perso nonna Isabella Scardigno, donna di estrema materna dolcezza verso di me… Quasi per compensazione mi ero estraniato dal mondo circostante tuffandomi in una percezione estatica di melodie che penetravano nel mio spirito come benefico balsamo… Verso le ore 20.00, nella saletta della Dvorak, nel bel mezzo del saggio al pianoforte dell’amica Chiara Campo, lo strattone di un amico si confuse con le terrificanti scosse del terremoto dell’Irpinia che diedero a tutti la sensazione che il pavimento ci stesse slittando sotto i piedi. Ci ritrovammo nella piazzetta… Avvenimento simbolico dicevo… Infatti, mentre a colpi di mortaio si sfaldava – anche sul versante affettivo – la mia giovinezza, l’esperienza di corista si concludeva coi preparativi e poi con la partecipazione alla Rassegna su indicata, a Loreto (la seconda per me). Il canto del cigno – la Petite Messe Solennelle di G. Rossini – spalancava una fase nuova della mia vita nella Scuola, una chiamata per responsabilità più dirette.
Lasciai il settore amministrativo perchè vincitore di due concorsi per l’insegnamento, uno per Materie Letterarie (le insegnai nel solo a.s. 1984/85 ), l’altro per Filosofia e Scienze dell’Educazione. Quest’ultima fu la mia scelta definitiva. Dopo pochi anni, però, divenni Vice-Preside e associai per un decennio all’insegnamento (Filosofia, Pedagogia, Tecniche Educative per l’Infanzia.., e poi Psicologia Generale, dell’età evolutiva, sociale e della pubblicità) l’importante impegno di gestire la transizione dai vecchi ai nuovi ordinamenti. Si trattò di organizzare e arricchire l’offerta formativa, mediare tra vecchi e nuovi indirizzi professionali (conviventi anche all’interno dello stesso Istituto), diversificare le “microspecializzazioni” nel “sociale”. E gli impianti didattico-formativi che ne rivenivano risultavano puntualmente segnati dal medesimo “crisma”: la “modularita”. Essa coniugava le unità didattiche e i moduli stessi nelle specifiche loro “notazioni”, secondo caratteri di flessibilità e di risposta ai bisogni e alle “emergenze” della Comunità Umana. Anche quando ne scaturì il complesso programma regionale di Istruzione Tecnica Superiore per “Esperti in problemi della 3^ età”, unica esperienza in cui la Facoltà di Medicina (per gli insegnamenti di 2° e 3° livello) e la Casa della Divina Provvidenza (altri insegnamenti + stage) furono “armonizzati” e fatti convergere dalla Scuola su gravi problematiche – anche occupazionali – del Territorio. In questo fu utile il mio gratuito volontariato nel Sindacato Scuola dal 1981 (servizi e assemblee nella gestione del cambiamento..) e la mia presenza decennale nel Consiglio Scolastico Provinciale (direzione della Commissione Permanente sulla razionalizzazione della Rete Scolastica, con interventi di mediazione tra i presidi sulle loro… “lottizzazioni territoriali”, i cosiddetti “bacini di utenza”). E in tutto ciò, silenziosa, quella lezione di armonia e la ricerca del coinvolgimento corale… Per me era come “creare” di volta in volta l’ “unicum” di spartiti specifici sui pentagrammi più ardui: le strade della vita. Anche sul versante collegiale… Coniugare le diversità, ricondurre le dissonanze in differenti armonie, valorizzare i “solisti” e le voci del coro in un identico “pathos” … intravvedere estasi anticipatorie (fughe e preludi) di sconfinamenti in coralità infinite. Ritrovavo già qui trasposte – in una stupenda sintesi – “chiavi” di lettura ancorate a presupposti psicologici e spirituali, la parallela ricerca di armonia interiore, di sintonia e sinergia propria delle lezioni di C. G. Jung e K. Lewin…, le cadenze meravigliose da seguire per realizzare il sogno del mio Divin Maestro: “ut unum sint”.
Il successivo decennio di Dirigente Scolastico iniziò e si concluse con due gesti musicali particolarmente “simbolici”.
Il 1° Natale (2002) gli alunni della Scuola Primaria “don P. Uva” di Bisceglie vollero che accompagnassi con la chitarra il loro coro nello stupore generale. Fu il “leit motiv” del mio programma… Suonavo e mi ritrovavo contemporaneamente nel ruolo di Direttore d’orchestra, in cui coristi e strumenti erano spesso da costruire e/o inventare. E in tale orchestra c’erano tutti: alunni, maestri, personale, genitori… Stupenda la musica che echeggiò… e che “con-notò” anche il quinquennio successivo di Preside del Liceo Scientifico e Linguistico “L. da Vinci” di Bisceglie. Qui, già nel mio primo anno (2007), riuscii a far realizzare il meraviglioso Teatro-Auditorium “Mediterraneo”, con una modernissima cabina di regia multimediale. In esso plurimi furono gli spazi concessi a conferenze / esibizioni (dai Radiodervish a Moni Ovadia) e a coralità espresse in connubi delicati di danza classica e moderna. Riuscii – nel totale “silenzio” e tra mille difficoltà – ad attivare nel mio liceo la sezione Coreutica dell’indirizzo Musicale (unica in Puglia, Basilicata e Calabria) e a firmare al Ministero una Convenzione che aggregò in rete i pochi licei musicali e coreutici esistenti in Italia. Il sogno non si completò. Per raggiunti limiti di età non riuscii a far partire l’integrazione del settore coreutico con l’indirizzo specificamente musicale. Iniziativa che avrei voluto realizzare con la mia Città che, invece, non trovò su questo le indispensabili “con-sonanze”.
L’ultimo Natale (2012) fu quello della mia Festa di pensionamento… Il Personale docente e A.T.A c’era tutto, non nell’Auditorium del liceo, ma in un Salone della Parrocchia San Silvestro (Rione S. Andrea)… Mi consegnarono commossi un regalo voluminoso… Indovinate di che si trattava. Di una chitarra classica “Epiphone” con delicati intarsi madreperlati. Mi spiegarono le ragioni di quel dono. Voleva essere il simbolo dello spirito che aveva animato la mia “mission” di docente e il mio “management” dirigenziale: cercare armonia in se stessi, impegnarsi in sintonie comunicativo-relazionali, valorizzare le “parti”, fare delle diverse voci un solo coro e della Scuola una Comunità Educativa coerente e credibile. Il luogo, le persone, le motivazioni, la gratitudine mi sembrarono un “messaggio di conferma” di quanto avevo auspicato presentandomi: “Voglio essere l’arpa e Voi le corde” (S. Ignazio d’Antiochia)…, “nessuna musica scaturisce dal solo supporto…, nè da corde non ancorate ai sostegni”… E ritrovare in questa leggerezza basi valoriali condivise… “to be the rock and not to roll” (avevo concluso con i “Led Zeppelin” di “Stairway To Heaven”).
La lezione era stata assimilata nella quotidianità della ricerca-azione… e ora mi restituivano la chitarra con le corde… Non più solo gli alunni, ma i docenti e il Personale Scolastico mi chiedevano di accompagnare un coro più grande indicandomi anche il brano scelto: “La Canzone del Sole” di Lucio Battisti. Non potevano saperlo, ma anche questo era un richiamo per me: la pedagogia della “Città del Sole” di Tomaso Campanella (armonia e divulgazione dei saperi) e il fatto che si trattava del primo brano da me eseguito alla chitarra unendo ritmica e arpeggio.
Ringraziai tutti. Ringraziai soprattutto mia moglie, la prof. Nella de Cesare, lì presente prima di iniziare le dolorose ma inutili cure chemio/radioterapiche. Lei che mi era stata sollecita, affettuosa compagna nei momenti difficili della dirigenza, quando sembrava che tensioni, conflitti, personalismi, resistenze al nuovo attentassero alla serenità e alla crescita della Scuola.
Quel dicembre 2012 si pose emblematicamente a cavallo tra due fatti dolorosi, il decesso di don Salvatore Pappagallo – mio maestro e direttore di coro – avvenuto l’anno prima (2011) e la scomparsa - esattamente un anno dopo (Natale 2013)… - dell’adorata mia consorte, di colei che la musica e la primavera le aveva riportate nel mio cuore.
Quella chitarra non l’ho più suonata…, è riposta in un angolo tra postazione PC e scaffale della libreria… Lì, accanto a me, discreta e inerte amica di una “stazione” nuova,… comite dei miei apparenti silenzi, dove, nei momenti più intensi di meditazione e di preghiera, ritrovo accomunati sia il mio indimenticabile maestro sia la mia adorata compagna. E nel mio ostinato tendere alla “via veritatis” (il vero e il bene) colgo ancora l’irrompere dolce, diretto, benefico della “via pulchritudinis”. La bellezza, la valenza estetica - sottratta all’apparenza e all’effimero - dilata e abbatte le barriere dello spazio e del tempo, … diventa pura “frequenza” che canalizza le “energie” dell’uomo nella sua unità (anima/corpo) e si fa pregustazione e anticipazione di suoni, di colori, di luci… Cori senza comandi di chiusura… Autodirette liturgie celesti. Vibrazioni arcane … 10, 1000, ottave “sopra”.
Molfetta, 14 aprile 2015
Saverio MONGELLI
19/05/2015
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