Bio boom anche in cantina. L’impulso del reg. 203/2012, in piena revisione
Il bio boom non finisce di sorprendere. Chi pensa che l’attenzione al metodo di produzione sia prerogativa di mercati esteri meno tradizionalisti si deve ricredere. I dati rilevano che la preferenza per il vino bio è forte anche in Italia. Certo, il primo canale è rappresentato sempre dall’export (in tutte le aree geografiche, Usa, Giappone e Cina compresi), seguito dal dettaglio specializzato bio. Ristorazione, vendite dirette (tradizionali o online) ed enoteche seguono a distanza. Ma anche se la gdo non è il canale principale, è comunque significativo l’aumento del 70% delle vendite di vino bio negli iper e supermercati in tre anni, dai 1,7 milioni di euro del 2011 ai quasi 3 del 2014 (tab.1). Nel 2014, in particolare, le vendite sono aumentate del 21,5% per Doc e Docg tranquilli, del 60,5% per i vini Igt e di un impressionante 357% per i frizzanti.
Gamma più larga
«Va da sè – commenta Roberto Pinton di Federbio − che non si tratta di incrementi a assortimento costante: l’aumento è dovuto anche all’allargamento della gamma, che ha consentito di intercettare meglio i gusti dei consumatori, il che dovrebbe indurre i responsabili di reparto più accorti a proseguire nell’inserimento di nuove referenze biologiche». Il peso sulle rispettive categorie è ancora irrisorio: per Doc e Docg tranquilli nel 2014 è allo 0,27% (0,22% del 2013), per i frizzanti allo 0,30% (rispetto allo 0,08). I vini biologici Igt sono passati dallo 0,14% allo 0,32%, con un peso che è più che raddoppiato. Segmenti già maggiori nei mercati esteri più evoluti.
Perchè a sancire la definitiva consacrazione del vino bio ha contribuito l’entrata in vigore del Reg. Ce 203/2012, che ha colmato un vuoto legislativo permettendo di utilizzare in etichetta l’eurofoglia, il logo del biologico europeo, alla pari degli altri prodotti bio, e la dicitura “ vino biologico ” (con 20 anni di ritardo rispetto al Reg. 2092/91, che disciplinava solo la fase di vigneto).
Il nuovo regolamento ha dato un sta diventando infatti un plus decisivo per una produzione voluttuaria come quella del vino. In questo senso l’esistenza di precise norme europee costituisce un forte elemento di chiarezza e di differenziazione rispetto alla continua nascita di produzioni non certificate che seguono disciplinari sempre più “verdi” e “naturali”, rincorrendo un arbitrario continuo abbassamento dei limiti per gli additivi tecnologici di cantina, solfiti in primis. Tale regolamento ha innescato in Italia un significativo incremento degli ettari vitati (arrivati a 66.500 nel 2013) e un aumento delle cantine bio.
Tecnologie e additivi
Che hanno potuto fare leva sull’andamento positivo dell’export, anche perchè a livello extra-europeo (Stati Uniti e Canada, per esempio) queste produzioni sono già normate da tempo. A tentare la strada della conversione sono anche i produttori più rinomati. Come Berlucchi, che in Franciacorta ha seguio il pioniere Barone Pizzini, a conduzione biologica dalla fine degli anni ’90. Tra le superfici aziendali e quelle dei conferitori l’estensione del vigneto bio franciacortino è arrivato così a superare in poco tempo i 400 ettari. Ma per ora la grande casa spumantistica evita la fase di cantina. Per la quale ci sono molte questioni ancora aperte. Lo stesso Reg. 203, infatti, ha previsto una revisione nel 2015 dell’uso di alcune sostanze e delle tecniche di produzione. Da ridefinire ci sono l’uso di trattamenti termici, quello delle resine a scambio ionico e l’osmosi inversa. L’occasione del 2015 è unica: quest’anno è in corso tutta le revisione della normativa del bio (Regg. 834/2007 e 889/2008). L’Italia contava di arrivare a licenziare un nuovo regolamento per il settore nel semestre di presidenza, ma ormai l’appuntamento è slittato al semestre successivo.
Di Lorenzo Tosi
Fonte: Terra e Vita
08/06/2015
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