Le aziende di Bari e di Brindisi «salvano» l’export verso la Cina
Ecco tutti i dati sugli scambi commerciali con la principale economia tra i Paesi emergenti
Bari, 10/12/2015 – Le aziende di Bari e di Brindisi «salvano» l’export pugliese verso la Cina. Nonostante la frenata della principale economia tra i Paesi emergenti (vale da sola il 39,1 per cento del Pil dell’intero raggruppamento), la Puglia regge ancora bene sul fronte delle esportazioni. Tant’è che gli scambi commerciali verso la Cina sono aumentati di 15,3 milioni nel primo semestre di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2014 (da 58,7 milioni a 74 milioni). Pari ad un incremento del 26 per cento.
Una percentuale in controtendenza rispetto altre regioni italiane che registrano valori negativi. È quanto rileva il Centro Studi di Confartigianato Imprese Puglia che ha elaborato gli ultimi dati Istat.
Va ricordato che il Pil cinese è cresciuto, l’anno scorso, del 7,3 per cento, mentre quest’anno il tasso è sceso al 6,8 per cento e diminuirà ancora, secondo le stime riferite al 2016, al 6,3 per cento, il minimo dal 1990. Ma le conseguenze di questo rallentamento appaiono, al momento, meno allarmanti di quanto si possa immaginare. La Puglia, infatti, ha tutto sommato una minore esposizione sul mercato cinese rispetto al Piemonte, Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Lombardia, Veneto. Nelle regioni settentrionali, la curva delle esportazioni sembra aver imboccato un percorso di decrescita.
Le previsioni del Fondo monetario internazionale (Fmi) evidenziano un rallentamento della crescita mondiale a causa del contenimento del ritmo di sviluppo dei Paesi emergenti, nonostante gli Stati Uniti d’America e l’Eurozona vadano controcorrente. Un indebolimento delle condizioni di sviluppo dei Paesi emergenti potrebbe innescare una fase di instabilità globale.
Intanto, la Puglia si gode le positive performance delle aziende di Bari che hanno aumentato gli scambi commerciali (+62,6 per cento nei primi sei mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2014). Ancora meglio fa Brindisi (+106,4 per cento).
Certamente, importiamo dalla Cina più di quanto esportiamo, ma l’incremento registrato dalle due province pugliesi fa ben sperare, almeno in un contenimento dei danni alla bilancia commerciale.
In particolare, l’export del capoluogo regionale è salito da 36,2 milioni a 58,8 e quello di Brindisi da 2,7 milioni a 5,6.
Di contro, «arretrano» Taranto (-67,8 per cento, da 4,7 milioni a 1,5), Foggia (-52 per cento, da 9 milioni a 4,3), Barletta-Andria-Trani (-41,2 per cento, da 5,2 milioni a 3) e Lecce (-24,4 per cento, da un milione a 786mila).
Nel primo semestre di quest’anno, sono stati importanti beni per un valore complessivo di ben 228,4 milioni (contro i 190 milioni del primo semestre 2014). La provincia che importa di più è quella di Bari (128,6 milioni); seguono Taranto (48,4 milioni), Barletta-Andria-Trani (19), Lecce (13,3), Foggia (12) e Brindisi (7,1). Il saldo commerciale, perciò, è negativo per ben 154 milioni.
Il raffronto tra il 2013 e il 2014 evidenzia una contrazione del 7,2 per cento delle importazioni (da 446,9 milioni a 414,8) e la crescita del 35,7 per cento delle esportazioni (da 87,8 milioni a 119,2). Il saldo commerciale si conferma negativo per 295,6 milioni.
«I dati elaborati dal nostro Centro Studi - commenta Francesco Sgherza, presidente di Confartigianato Imprese Puglia – dipingono un quadro composito per ciò che concerne le relazioni commerciali delle nostre imprese con la Cina.
I numeri relativi alle province di Bari e Brindisi non sono un caso. Accanto ai meriti di un tessuto imprenditoriale che è riuscito a fare dell’export il volano del proprio sviluppo, va calcolata la presenza di dotazioni infrastrutturali in grado di supportare meglio rispetto a quelle delle altre province i traffici con l’estero. Questo ha comportato che, anche in un momento in cui la Cina comincia a rallentare, le imprese di questi territori siano riuscite ad incrementare il volume d’affari.
Meno confortanti sono invece i dati relativi alla bilancia commerciale: dalla Cina si importa molto più di quanto si esporta e tali importazioni spesso servono a coprire una domanda interna che si scarica sempre più su prodotti di qualità medio-bassa. Una ripresa che sia reale – conclude Sgherza – non può unicamente basarsi sulle esportazioni. Occorre fare tutto il possibile per mettere il mercato interno nelle condizioni di riavviarsi in maniera stabile e di accedere nuovamente all’acquisto di produzioni di qualità».
13/12/2015
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