2° app. con la rubrica curata dal giudice Maralfa: ''Ricordi di un vecchio P.M'' - ''L’omicidio del gioielliere Mimì De Lillo''
2^ puntata: l’omicidio del gioielliere molfettese Mimì De Lillo (6 febbraio 1971)
Quel giorno me ne stavo tranquillo in casa, godendomi un breve turno di riposo. Verso le 11 mi giunse una telefonata del procuratore De Augustinis, dirigente del mio ufficio, il quale mi informava dell’omicidio del gioielliere molfettese Mimì De Lillo, che aveva il negozio al centro di via Margherita di Savoia e che conoscevo benissimo da lungo tempo. Il procuratore, pur sapendo che ero a riposo, mi pregò di andare a dare uno sguardo, per vedere come stavano le cose, ed io ovviamente non potetti rifiutare l’intervento.
Non appena messo piede nel negozio, constatai che il povero De Lillo giaceva per terra dietro il bancone e presentava la traccia di un colpo d’arma da fuoco sulla guancia sinistra, senza foro d’uscita, segno che il proiettile era stato ritenuto nella scatola cranica.
Restai molto colpito da quella scena, venni subissato dai carabinieri, che mi prospettavano la necessità di serrate ed immediate indagini e mi fornivano le prime sommarie informazioni sulla dinamica dell’evento. Dimenticai la giornata di riposo, informai telefonicamente il procuratore e ricevetti da lui la delega ad occuparmi a pieno titolo della terribile vicenda.
Da questo momento trascorsi 42 giornate senza respiro fino a quando, il 20 marzo dello stesso anno 1971, non vennero arrestati i due giovani gravinesi Scalese e Lupoli. Di costoro avevo una descrizione del tutto generica, fornitami da un paio di testimoni timorosi, che li avevano fugacemente notati montare in auto dopo il delitto e darsi alla fuga in direzione di Giovinazzo.
Riuscii a sensibilizzare al massimo i carabinieri di Bari e di Molfetta, ottenendo la loro valida collaborazione , ma i giorni passavano e non venivamo a capo di nulla. Mettemmo allora sotto pressione l’ambiente dei pregiudicati di Bari nella speranza di ottenere qualche confidenza. Una notte, verso le 3, feci ingresso con i militi dell’arma nell’abitazione di un contrabbandiere di sigarette.
Costui stava dormendo e si destò, non appena gli venne accesa una torcia elettrica in faccia. Si mise a sedere sul letto e poi mi chiese con calma: “Scusate, siete voi il giudice Maralfa?”.
Ed alla mia risposta affermativa aggiunse: “Signor giudice, cercate di sbrigarvi a trovare gli assassini del gioielliere di Molfetta. Noi qui un po’ di contrabbando di sigarette facciamo, ma, da quando voi andate girando di notte per le case e per le strade, non campiamo più; speriamo che li arrestate anche domani!”
Soffiate dalla malavita non ne giunsero, ma assieme al capitano Caforio dei Carabinieri di Bari decidemmo di non mollare fino a quando non avessimo scovato e guardato in faccia i latitanti. Uno di questi, Vito Scalese di Gravina, venne fermato dai carabinieri, mentre, armato di pistola, usciva dallo studio di un avvocato. Subito dopo venne fermato il suo abituale complice, Michele Lupoli, di 17 anni, anch’egli di Gravina.
Scalese venne riconosciuto da quattro testimoni in sede di confronto all’americana, ma negò qualsiasi addebito. Lupoli, invece, confessò, dopo che gli venne notificato l’ordine di cattura per omicidio a scopo di rapina, e nel carcere di Trani, nel corso di un drammatico faccia a faccia, accusò Scalese di avere sparato al gioielliere De Lillo e di averlo ucciso. La Corte d’Assise di Trani con la sentenza del 17 gennaio 1973, emessa a meno di due anni di distanza dal terribile delitto, accolse le mie richieste e condannò Scalese all’ergastolo ed il minorenne Lupoli a 30 anni di reclusione.
(CONTINUA NELLA PROSSIMA PUNTATA, GRAZIE DI AVERCI SEGUITO)
02/11/2012
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