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Note sull'economia molfettese tra '800 e '900 2^ parte - A cura di Arcangelo Ficco( Quaderno Archivio Diocesano)

Note sull'economia molfettese tra '800 e '900 2^ parte - A cura di Arcangelo Ficco( Quaderno Archivio Diocesano)


La seconda metà dell’Ottocento
Agli inizi degli anni ’60 dell’Ottocento la situazione del commercio molfettese dell’olio non
conosce elementi di novità e risulta caratterizzata da una sostanziale stabilità. Nel triennio 1863-65
sono esportate in media poco meno di 17 mila cantara, una quantità superiore del 20% rispetto agli
anni ’40 e di circa l’8% del periodo 1852-57, poca cosa invero rispetto a quello che nello stesso
periodo si registra per Bari, la cui esportazione è quasi raddoppiata rispetto agli anni ‘30.
I dati a disposizione nel periodo 1843-1865, per quanto incompleti, confermano per Molfetta una
crescita delle esportazioni dell’olio, attestate intorno alla media di 15 mila cantara annue, di oltre il
50% superiori a quelle di fine ‘700, ma di molto inferiori alle coeve esportazioni baresi che si
attestano intorno a 80 mila cantara. Del resto i suoi legni mantengono ancora i tratti di flotta di
modesto tonnellaggio, che nel migliore dei casi superano 100 tonnellate, come nel caso della
Carolina e dell’Amicizia, sommando nel 1857 complessivamente 1718 tonnellate.
La prospettiva, quindi, è completamente diversa, giacchè la “rivoluzione commerciale” ha
scombinato le gerarchie mercantili tradizionali: i tempi nuovi vedono dei centri limitrofi, da cui al
dire del Giovene Molfetta era stata da sempre angustiata, Bari essere diventata assolutamente
dominante nel circuito oleario pugliese. Se a ciò si aggiungono altri elementi di precarizzazione e
instabilità, per i negozianti molfettesi cercare altre forme di investimento e di guadagni diventa
ragione di sopravvivenza: la prospettiva dell’azienda manifatturiera può essere una risposta alle
sfide imposte dall’ampliamento del mercato.
Sul finire degli anni ’60, una serie di annate sfavorevoli colpiscono i tradizionali settori
dell’economia agraria molfettese, innanzitutto l’uliveto: «Sono tre anni in continuazione che questi
proprietari si veggono sfuggir di mano la principale ricchezza delle nostre campagne: prima con una
profonda gelata, che disseccò gli alberi, poi con l’apparizione di innumerevoli vermi nati dalla
mosca olearia, che ne macerò i frutti, ed infine nel caduto anno 1870 la siccità e la neve hanno
depauperato la principale risorsa di questi amministrati».
Sorte non dissimile tocca al vigneto, con l’aggravante che la produzione di vino è giunta
«all’estrema depreziazione poichè per il valore bassissimo [anche quando il prodotto è di buona
qualità], e pel soverchio del dazio, si giugne appena a ricavarsene le spese occorrenti. Onde che in
ogni anno si veggono scapparsi dei poderi piantati a vigna; per cui anche per questa cagione il
prodotto vinario qui diminuisce». Anche il mandorleto è stato colpito dalla gelata e da insetti
appartenenti al genere dei Bombici, contro i quali l’uso della ruta non è stato efficace, a differenza
dell’acqua mescolata a piccolissima quantità di petrolio.
La congiuntura sfavorevole della produzione agricola tende a compromettere il commercio locale,
soprattutto dell’olio, in quanto alla scarsità del prodotto si aggiunge una bassa domanda per la
modesta qualità del prodotto: nel gennaio 1869 si lamenta che «le richieste [di olio] dei
commercianti esteri sono state scarse o quasi nulle»; nel 1870 si afferma che «la raccolta delle olive
è stata scarsa, ma benanche l’olio è riuscito scarsissimo e di cattiva qualità, da non poter reggere,
come al solito, la concorrenza degli ottimi oli fini da tavola»; nel 1873 gli oli risultati di quantità
maggiore rispetto alle aspettative, non sono richiesti dall’estero, principalmente dalla Francia,
ragion per cui «questo genere rimane negletto, senzacchè possa rilevarsi dalla bassezza del prezzo
in cui si giace da più tempo».
Si rendono necessarie nuove strategie di collocazione dei capitali tradizionalmente investiti nel
commercio marittimo. Il caso della Pansini & Gallo, il cui oggetto societario non separa nettamente
le consolidate attività mercantili dalle quelle prettamente industriali, nel senso che entrambe sono
assunte indifferentemente nell’ottica della tradizionale speculazione, o, a volte, la scarsa cultura
industriale dei negozianti improvvisatisi imprenditori, da questo punto di vista, sono certamente
emblematici.
Nel 1882 Sergio Fontana, principale azionista e amministratore della Fontana Minutillo & Ci,
costituita nel 1880 per la produzione di laterizi, tegoli e quadrelli da pavimento, addebita la perdita
d’esercizio dell’anno precedente alla sua «poca conoscenza tecnica intorno alla fabbricazione e
cottura dei prodotti ceramici», a dispetto delle speranze riposte in questa azienda, ai fini di «una
sensibile diminuzione fra noi nel prezzo dei laterizii, con grande vantaggio dei consumatori»,
dall’allora presidente della Camera di Commercio di Bari Tommaso Columbo, che si era
preoccupato, anche per queste ragioni, di «sussidiarla».
Non si tratta di un’uscita stravagante del Fontana, giacchè viene confermata nel 1895 dalla
commissione incaricata di esaminare i bilanci dell’azienda: «[Nei primi tempi] l’industria
discapitava giorno per giorno, giacchè dall’amministrazione non si conosceva il metodo della
lavorazione, ed il mezzo per la buona riuscita dei prodotti, per cui si avveravano di continuo danni
considerevoli e quotidiane rotture di materiali, causate da cattiva composizione dell’argilla, e dalla
pessima cottura dei laterizi (…) ci mancava la pratica sufficiente, e conseguentemente andavasi
sempre a tentoni ed in via di esperimenti».
Fu probabilmente anche questo il motivo dei contrasti che portarono, in breve tempo, all’abbandono
dell’azienda da parte di uno dei cofondatori, l’ingegnere Luigi Minutillo, che aveva dato negli anni
’70 valida prova delle sue capacità tecniche nell’ambito della ingegneria industriale, dirigendo la
costruzione degli stabilimenti Boccardi, De Gioia-Spadavecchia e Sulzberger. Sta di fatto che
molto lucidamente i fondatori avevano saputo indicare nel nome dello stabilimento l’arditezza
dell’impresa.
Ma non è l’unico caso. Una trentina d’anni dopo, Leonardo Messina, negoziante in olii vini e altri
prodotti, volle estendere nel 1907 la propria attività commerciale ad un nuovo ramo di affari, la
fabbricazione dei laterizi, ma a causa della sua iniziale incompetenza tecnica, l’azienda risultò in
principio del tutto passiva e fallimentare.
I dati a disposizione sull’andamento del commercio mercantile a partire dalla metà degli anni ’70
evidenziano l’espansione di questo settore, che riflette a sua volta l’arricchimento della base
produttiva cittadina. Lo sviluppo del manifatturiero funge da volano dell’accresciuto sistema dei
traffici, che a sua volta alimenta, in un’indistinta struttura funzionale, le attività di trasformazione.
Questo rapporto appare evidente non tanto nei dati quantitativi sulle esportazioni e importazioni, il
cui bilancio risulta sempre deficitario a danno delle esportazioni, quanto nel valore monetario delle
merci scambiate, segno evidente del valore aggiunto apportato dal processo di trasformazione.
La tabella seguente risulta indicativa della fase espansiva del commercio mercantile, che copre, per
così dire, la grave crisi agricola e monetaria degli anni ’80-’90, con un’ulteriore accelerazione nel
decennio che precede lo scoppio della grande guerra, nonostante siano già stati registrati i crolli
verticali dovuti allo scoppio del conflitto, dopo la battuta d’arresto dei primi anni del Novecento,
dovuta anche al fallimento della Laquai & Ci, giacchè, «a causa della inattività della Ditta e dalla
inoperosità dei 3 opifici da essa posseduti, [Molfetta] ha visto sensibilmente minuire le operazioni
di traffico del porto marittimo e dello scalo ferroviario, [oltre che] imperare deleterio marasma nella
classe lavoratrice, prima impiegata in larga misura nell’azienda»:
Movimento commerciale del porto di Molfetta (1881-1915)
Vedi Immagine


Se prendiamo in considerazione le cifre disponibili riguardanti il valore finanziario delle merci
scambiate, il bilancio degli scambi risulta diverso, nel senso che il valore delle merci esportate è
sempre superiore a quello delle merci importate :
Andamento finanziario del commercio marittimo di Molfetta
Anni 1875-79, 1882-88, 1891-93, 1896-97

Vedi Immagine


Se raffrontiamo i dati disponibili per periodi omogenei, relativamente al rapporto
esportazioni/importazioni, lo scarto tra cifre riguardanti la quantità delle esportazioni e quelle
attinenti al loro valore finanziario risulta inequivocabilmente a favore di queste ultime:
Vedi Immagine


Lo sviluppo dell’industria manifatturiera riuscì ad attenuare gli effetti disastrosi della crisi olearia
che a partire dal 1882 «notoriamente ha cagionato la rovina del commercio, dell’agricoltura e della
proprietà molfettese». Non a caso intorno ai primi anni ’80 si organizzano stabilmente alcune
imprese manifatturiere, tra le quali Pansini Gallo, De Gioia & Ci, Fontana Minutillo, Panunzio
Azzollini, Altomare Allegretti, Lanari Maggialetti De Gioia, Balacco Spagnoletti, Vincenzo Gallo,
oltre a quelle già sorte per l’estrazione dell’olio al solfuro e ad altre di più modesta entità. La crisi
olearia si prolungò per un decennio e alla ridotta produzione, per una serie di avverse condizioni
meteorologiche, si aggiunse «il notevole ribasso ne’ prezzi, e la pochissima ricerca, che si fa de’
nostri olii di olive per la concorrenza de’ cresciuti olii di seme».
Questo stato di cose ebbe dei contraccolpi sui più importanti operatori del settore. Nel 1886 «i
fallimenti De Gioia produssero nelle varie piazze italiane e straniere non poca diffidenza per i nostri
commercianti e specialmente per quelli che lavorano in olio, vini e mandorle, che da parecchi anni
[stavano] subendo delle gravissime perdite. Quindi molta difficoltà nello sconto delle cambiali a
Bari ed altrove, e la situazione, non solo quella commerciale ma la generale di Molfetta è diventata
gravissima [e] ha fatto chiudere alle banche gli sportelli per i molfettesi, salvo rarissime eccezioni, e
le banche locali non scontano più e si limitano a ritirare i capitali esposti».
La situazione compromessa del commercio agricolo si estese ampiamente a un settore importante
del commercio cittadino, quello dei tessuti, sul quale, anche per effetto delle conseguenze della
guerra doganale, si abbatte nel 1888 il ciclone del fallimento della Ditta Attanasio, che rese ancor
più difficile la situazione finanziaria delle aziende molfettesi, giacchè «di tale gravità [da
compromettere] le condizioni di una intera e cospicua città», e scosse anche la precaria stabilità
delle industrie manifatturiere a causa delle «interessanze presso diversi stabilimenti industriali».
Fu un effetto domino: tra il 1888 e il 1898 si verificarono 45 fallimenti, soprattutto di società di
commercio di tessuti, e di questi nel biennio 88-89 ben 22: «Nel 1888 il commercio, le industrie
passarono di fallimento in fallimento, che non risparmiò i negozianti più ricchi e accreditati, i quali
ritenevasi le colonne d’Ercole del credito. Di modo che quando la crisi avvolse nelle sue spire
inesorabili tutti i rami della vita economica, la nostra città, così attiva ed industriosa, assunse
l’aspetto di città abbandonata».
La Ditta Attanasio, infatti, aveva creato «il primo ed il più accreditato negozio delle Puglie» con
relazioni d’affari straordinariamente estese e una fitta ramificazione di scambi soprattutto con
società estere, austriache, inglesi, scozzesi, nordirlandesi, francesi, tedesche, svizzere. Il fondatore
dell’impresa, Giuseppe Attanasio, al dire del curatore fallimentare, «uomo sfornito di ogni cultura,
ma dotato di molto ingegno naturale», aveva costruito una risposta efficace per il controllo del
mercato, creando un centro monopolistico di allocazione dei tessuti ai negozianti di diversi centri
della regione.
La massa fallimentare di 3 milioni rese «unico nelle Puglie» il fallimento Attanasio e dà l’idea della
straordinaria organizzazione finanziaria e commerciale messa in atto, di cui colpisce in modo
particolare l’esclusiva specializzazione commerciale, a differenza delle altre società coeve
solitamente intese al commercio di diverse merci. Ciò non toglie che anche nel caso della Attanasio
l’immobilizzo di ingenti capitali nell’acquisto di 330 ettari di terreni per 1 milione di lire, in un
tentativo mal riuscito di diversificazione del reinvestimento dei proventi, produsse una falla
finanziaria di enormi proporzioni, in quanto la crisi agraria ridusse enormemente rendita e valore di
quelle terre.
Anche in questo ambito solo tardivamente nel 1905 si costituì una Unione Commerciale Tessile di
Molfetta, con il chiaro intento di limitare la concorrenza, di abbattere i costi e di reperire i capitali
necessari, a volte considerevoli, che si rendevano indispensabili per esercitare il commercio dei
tessuti, «un commercio speciale» al dire dei contemporanei. La crisi non potè non investire anche
gli stabilimenti industriali che sembrano trarre «un’esistenza anemica, la quale si rispecchia
nell’intero paese», sicchè solo la pesca «mantiene una florida vitalità, ed è l’unica industria che
allevia alquanto la generale ristrettezza economica».
Pesca e lavori pubblici consentono un controllo sociale sempre più difficile, sin da quando negli
anni ’70 l’industria fa i suoi primi passi, poichè nel 1874 dal comando dei carabinieri si segnala che,
a causa della crescente miseria, molti contadini hanno preso l’abitudine di recarsi nella sala
municipale per chiedere pane e lavoro, tanto che il sindaco, per sovvenire alla miseria e alla
mancanza di lavoro, è riuscito a spedire 80 manovali a Cariati per la costruzione di un tratto
ferroviario in quella zona e chiede, sempre nello stesso periodo, al direttore delle ferrovie
meridionali di impiegare altri bracciali per i lavori da effettuarsi nella tratta tra Molfetta e Foggia.
E poi ancora allarmate istanze delle autorità si ritrovano per il 1879 e il 1880, e per ovvie ragioni
negli anni successivi, preoccupate di dare lavoro ai disoccupati, allo scopo di evitare disordini
sociali, a dimostrazione del fatto che l’industrializzazione non comportò un aumento consistente
nell'occupazione, visto che nel 1885, come s’è già avuto modo di segnalare, gli occupati negli
stabilimenti sono solo 700, ivi compresi gli addetti ai trappeti, una cifra non superiore a quella
indicata nella documentazione risalente al 1850.


15/12/2012
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