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2° app. con la rubrica ''L'arbitro e il mondo del calcio'' curata dal prof. Minervini
Carissimi, riprendendo il nostro, mi auguro interessante incontro, vorrei ricordare
che quando si parla di “Arbitro” ci si riferisce sia all’uomo che alla donna in quanto
sin dalla fine degli anni ottanta il regolamento dell’A.I.A. (Associazione Italiana
Arbitri) Settore Arbitrale della F.I.G.C. fu modificato e fu consentito anche alle donne
di accedere alla funzione arbitrale. Anche in questo la Sezione A.I.A. “Paolo Poli” di
Molfetta fu fra le prime, se non la prima in assoluto a portare delle giovanissime
donne sul terreno di giuoco a cimentarsi nella funzione arbitrale.
Continuando a sviluppare il tema delle qualità umane necessarie per svolgere
l’attività arbitrale, ancora una volta mi aggancio al concetto espresso da Don Tonino:
“solo chi sa giudicare sè stesso……….”
Ebbene, questa capacità è evidente non è una qualità innata, ma frutto di un
processo educativo da coltivare e sviluppare.
E’ fondamentale che il giovane arbitro prenda coscienza che per poter “giudicare” è
necessario “conoscere” ciò che è soggetto ad un giudizio, altrimenti sarebbe
arbitrio, per cui è fondamentale conoscere non solo nelle linee fondamentali ma nei
principi ispiratori ciò che s’intende giudicare ( un comportamento,un brano di un
autore, il risultato di un lavoro ecc..) financo il regolamento del giuoco calcio.
Avere capacità di autocritica ogni qual volta si rileva una incertezza nella valutazione
di un “fatto di giuoco”,e da ciò trarne lo spunto per un ulteriore approfondimento
attraverso la “ricerca” del perchè si è valutato in modo approssimativo un “fatto di
giuoco”, quindi trarre insegnamento dall’errore commesso e maturare sia come
arbitro che come uomo (esperienza). Non a caso il giovane arbitro matura, si dice,
arbitrando. Questa capacità di esame di coscienza deve essere un modo di “essere”
per realizzare il processo di crescita umana (rapporti con la famiglia, con lo studio,
con il lavoro, con la società) ed arbitrale.
Questa “maturità” offre serenità di giudizio, certezza del proprio “operato”,
tempestività di intervento, inamovibilità dallo stesso.
Nel caso in cui ci si rende conto dell’eventuale “errore” se il giuoco (interrotto per
l’intervento errato) non è stato ripreso si può modificare la decisione, se invece il
ravvedimento è tardivo non si deve assolutamente tener conto (compensazione).
Quest’ultimo comportamento sarebbe molto grave (colpa).
La gravità scaturisce da una errata concezione del ruolo (giudice imparziale fedele
esecutore dei dettami regolamentari) in quanto il “potere” concesso dal
regolamento non deve essere inteso come potere “personale” ma potere del ruolo.
Infatti, nel casi di “errore” questo esula dalla colpevolezza del soggetto perchè non
“volontario”; nel caso “compensazione” si richiede una partecipazione consapevole
nella decisione del tutto non regolamentare il che inevitabilmente è per sua natura
ingiusta frutto di un potere “dispotico” privo di consenso, quindi “illegittima”.
Un altro elemento indispensabile al fine di un corretto intervento valutativo è dato
dalla serenità d’animo,( intendo la mancanza di qualsiasi passionalità amico
calciatore, squadra “simpatica”, ecco…) e qualsiasi altro elemento di turbativa di
natura psicologica quale può essere: disagio scolastico, familiare, di carattere
affettivo, ecc…, questo perchè quello che “vediamo” è filtrato dalla nostra “psiche”
o intelletto che non essendo sereno ci fa recepire i fatti in modo non del tutto
Equilibrato” per cui gli interventi spesso non risultano “coerenti” con quanto
avvenuto, quindi errati, tradendo con ciò lo scopo e la finalità dell’operato arbitrale.
Nel nostro prossimo incontro Vi parlerò del rapporto Arbitro/Calciatore.
Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo appuntamento.
26/12/2012
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