3° app. della rubrica ''L'importanza del saper comunicare e il linguaggio del corpo'' : ''Il verbo nella tradizione''
IL “VERBO” NELLA TRADIZIONE
“In principio era il Verbo…”. Così inizia il Vangelo di Giovanni, un testo antichissimo che già mette l’accento sull’importanza creatrice del Logos, del Verbo che “… era Dio, si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. In pratica, l’evangelista ci racconta di una Parola che si trasforma in Essere Vivente. Ma di fatto: che cosa è questo “Verbo” e che cosa sono le parole che usiamo tutti i giorni? Da dove provengono? A chi appartengono? E soprattutto: qual è la funzione arcana e trasmutativa di cui sono portatrici?
Le grandi Tradizioni non hanno alcun dubbio a tale proposito: nell’arco di tutta la storia dell’Uomo è infatti presente il concetto della luce che crea (dal latino “fiat lux”, che ricorre nella Genesi), del fuoco che genera il mondo e della parola che – proprio come una sorta di laser luminoso e fecondante – si fa carne, sostanza, materia. La parola diventa persona.
Del resto, “la parola ha lo stesso potere fecondante della cellula seminale”, scrive Pavel Florenskij, teologo, pensatore e simbolista russo. Proprio come lo sperma attraverso la fecondazione genera una nuova persona, così la parola seminata nel cervello dà origine a nuovi modi di vivere e di pensare.
Non solo. Sempre secondo Florenskij, la parola sarebbe dotata di una vita propria e sarebbe simile a “un organismo che si scioglie e si stacca dagli organi vitali, che viene partorito e nasce dal grembo della voce”. Quasi a dire che ogni volta che parliamo partoriamo di nuovo noi stessi e nuove realtà nel mondo e tra le persone che ci circondano.
In Occidente, grandi studiosi come Merleau Ponty sostengono che la cultura greca, culla della modernità, possa essere compresa soltanto se consideriamo i pensieri come parole: vocaboli che abitano dentro di noi dall’origine, e ancora prima della nascita. Anche in Oriente, per esempio nella tradizione indonesiana, si è sempre pensato che la mente e l’anima risiedessero nelle parole.
A loro volta, i Cinesi consideravano le parole come “il seme del mondo”, e per questo facevano molta attenzione prima di pronunciarle, perchè ritenevano che a ogni organo del corpo corrispondesse un suono, e che a ogni suono fosse legata una malattia: “Qualsiasi parola pronunciata risuona in tutto il corpo, e ogni parola è il corpo stesso”, recita, infatti, un’antica massima cinese. Come a volerci far intendere che le parole che ascoltiamo e pronunciamo siano le medesime vibrazioni creative che generano noi stessi e il mondo che ci circonda.
Per questo, possiamo tranquillamente affermare che noi diventiamo realmente le parole che pronunciamo, quelle che abbiamo ascoltato e che continuiamo ad ascoltare. Con quale risultato? Facciamo qualche esempio: se ascoltiamo solo parole inutili, se siamo sepolti dalle frasi fatte, dai saluti banali, dai modi di dire vuoti di significato, alla fine diventeremo inutili, perchè noi siamo le nostre parole, ossia intelligenza che si trasforma in fiato, plasmata attraverso il linguaggio (e non solo – come vedremo più avanti – attraverso il linguaggio verbale).
Allo stesso modo, se una madre continua a ripetere a un figlio, per sua natura non troppo espansivo, che è un “ragazzino timido”, la timidezza si radicherà concretamente nel comportamento del bambino, quasi che il giudizio verbale del genitore riuscisse a plasmarlo, rendendolo sempre più corrispondente al contenuto del giudizio materno, anzichè spronarlo a diventare diverso e portare allo scoperto la sua vera identità.
Di Vittorio Caprioglio
16/02/2013
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